A furia di battibeccare su conflitti di interesse, leggi ad personam, strappi istituzionali e mignotteria assortita, abbiamo perso un po’ di vista le cose vere per cui vale la pena mandare a casa questa filibusta di cialtroni.
A furia di propalare ottimismo a tutti i costi, il governo evita accuratamente di affrontare seriamente i temi della crisi. Ha istituito dei fondi per gli ammortizzatori sociali (che sono una benedizione, beninteso) ma che sull’economia hanno lo stesso effetto della morfina per il cancro. Riducono il dolore, l’impatto sociale della perdita occupazionale, ma non affrontano il problema, in pratica, restando nella metafora, come se un medico si preoccupasse di lenire il dolore ma non di eliminarne la causa.
La tattica è: teniamo duro fino a che le locomotive economiche mondiali non ripartono e poi ci mettiamo in coda a vendere le nostre Ferrari e i nostri vestiti di Prada ai ricchi stranieri.
Una delle questioni più trascurate in assoluto è quella energetica. Ormai è acclarato che siamo nel pieno di una crisi energetica per l’esaurimento delle scorte petrolifere. Ovvero il raggiungimento del picco di Hubbert (a lungo negato da governanti e OPEC, ma di fatto sotto gli occhi di tutti, nonostante la reticenza a svelare il residuo dei giacimenti).
In poche parole al raggiungimento del picco (ovvero il massimo del rapporto fra costo di produzione e quantità estratta) il petrolio andrà via via ad esaurirsi e di conseguenza a costare sempre di più. Non solo il petrolio diminuisce in quantità (essendo una risorsa non rinnovabile) ma ne aumenta costantemente la “sete” mondiale, anche per l’ingresso di nuovi attori nella scena mondiale come Cina, India e Brasile.
Alcune nazioni hanno tentato la strada dei biocarburanti, vale a dire trasformare in idrocarburi canapa, zucchero, frumento eccetera. E’ abbastanza ovvio che per rimpiazzare la produzione di olio fossile con quello di provenienza organica occorrerebbero piantagioni immense, a scapito del cibo (che già per troppe persone al mondo scarseggia) e sottraendo scorte d’acqua alla popolazione. Naturalmente non è pensabile che si riesca a raggiungere un equilibrio fra domanda e richiesta affrontando la questione unicamente con il biodiesel o l’alcool di provenienza vegetale.
L’Italia in questo scenario è una delle nazioni più espsoste al contagio della crisi (a differenza delle passate bolle bancarie, vista, per fortuna, l’arretratezza dei nostri istituti a trattare certi prodotti sofisticati) per diversi ordini di motivi. Il primo: tantissima parte del nostro commercio viaggia su gomma e l’aumento del prezzo del greggio, come è capitato in passato, ha risvolti immediati sui prezzi al consumo, con conseguente innalzamento dell’inflazione. Pressochè istantaneo.
In secondo luogo non disponiamo di risorse proprie. Il greggio della Basilicata è una goccia nel mare, e l’energia geotermica (tipo i soffioni boraciferi di Larderello) del tutto marginale.
Il governo sta puntando per affrontare almeno la parte del problema che si rifletterà sulla produzione elettrica (e quindi sulla bolletta e quindi di nuovo direttamente e indirettamente su fenomeni inflattivi) puntando sul nucleare.
Che è una scelta folle per diversi ordini di motivi. Primo: i combustibili da fissione sono anch’essi una fonte non rinnovabile. L’uranio scarseggia e i luoghi dove si estrae (tipo il Niger) politicamente molto instabili. Ora come ora i maggiori giacimenti sono le testate nucleari in smantellamento delle due grandi potenze dopo i programmi di non proliferazione. Ca va sans dire che, ancora meno che per quello estratto in miniera, questo combustibile ha un orizzonte temporale limitatissimo. Le centrali autofertilizzanti (tipo il super Phoneix francese) per ora si sono rivelati fragorosi fallimenti.
In secondo luogo resta irrisolto il problema delle scorie, non siamo ancora riusciti a trovare un posto dove mettere le scorie prodotte dopo la breve esperienza nucleare pre referendaria, e quelle prodotte dalle atività ospedaliere e di laboratorio. Figurarsi se dovessimo metterci a fare centrali nucleari per sostituire quelle multicombustibile attuali (che in gran parte bruciano gas, visto che almeno per quello ci siamo approvvigionati a dovere, ma che anch’esso è destinato a terminare e comunque il suo prezzo è legato a doppia mandata a quello del greggio).
Infine i tempi. Una centrale nucleare, dalla progettazione al momento in cui emette il primo Kwatt di energia, richiede un tempo molto lungo, gli esperti dicono 10-15 anni, ma l’esperienza dice 20, tanto più che siamo in Italia, il posto dove per eccellenza i cantieri vanno fuori termine. Magari faranno intervenire Bertolaso e l’allegra combriccola di puttanieri con cui si accompagna per accelerare i tempi, ma diciamo che una centrale nucleare è un pelo più complessa da fare di corsa rispetto agli impianti sportivi di nuoto.
Quindi occorre che si faccia una politica energetica robustissima, che parta dal risparmio (e non potete immaginare quanta sia l’energia che sprechiama vanamente) e finisca nello sfruttamento di fonti rinnovabili, cercando perfino di superare quel 20% del famoso venti-venti-venti, in modo da schivare l’impatto frontale della prossima violentissima crisi energetica alle porte.
Visto che sono riusciti a fare piscine olimpioniche da 49 metri, quindi inutilizzabili ai fini sportivi ma utili per i circoli privati che le ospitano, chissà cosa potranno inventarsi con la libera reinterpretazione degli standard di una centrale nucleare