Sono un po’ di giorni che rimugino sull’opportunità di scrivere questo post. Su questo blog ho spesso parlato di questioni pubbliche, a volte anche dei fatti miei, mantenendo però un certo pudore su alcune questioni, sulle quali non ho scritto nemmeno una riga (ad esempio in relazione al mio travagliato matrimonio). Avevo dedicato un elogio funebre a mio nonno, ma in qualche modo ritenevo la sua morte un fatto ineludibile, visto che l’uomo aveva 93 anni, cominciava ad avere i probemi di salute di una persona molto anziana ed aveva perso da pochi mesi quella che era stata la sua consorte per 67 anni. Cum sors, condividere la sorte. Non che la morte sia eludibile per alcuno, ben inteso, ma intendo dire che la ritenevo per lui inevitabile nel breve, lo andavo a trovare in ospedale ormai spento, stufo di non potersi alzare e fare quel che ha fatto per tutta la vita e probabilmente rassegnato alla fine.
Quel che è capitato a mia madre invece è qualcosa di choccante, difficile da credere. La notte fra il 13 e 14 giugno, non sappiamo se a causa di un malore o di un piede messo male, è caduta dalle scale della nostra casa al paese, procurandosi delle gravissime lesioni cerebrali. Nel cuore della notte mio fratello sentendo un rantolo provenire dalle scale l’ha trovata agonizzante. A nulla sono valsi i soccorsi e l’intervento d’urgenza fatto di li poco. Il neurochirurgo ci aveva già detto che la situazione era critica e di fatto irrecuperabile, i 5 giorni successivi in rianimazione sono serviti ad avere una tenue fiammella di speranza intervallata dal terrore che si potesse salvare si, ma a condizioni di qualità di vita talmente pessime da preferirne forse la dipartita, a maggior ragione considerando il tipo di donna che era, energia allo stato puro.
La mattina del 19 giugno è morta.
Molti di voi che mi leggono hanno vissuto probabilmente il dramma della morte di una madre ma, come dicevo prima per mio nonno, quando il rocchetto in cui è avvolto il filo della tua vita ha corso per 90 anni che la fine sia vicina è una considerazione ovvia e inesorabile. Chiaramente chi muore la sente comunque come un’ingiustizia, morire non è qualcosa che si faccia volentieri. E’ chiaro pure che se la persona a cui vuoi bene ha 96 anni nella tua testa pensi: “eh, c’e’ gente che supera i 100, altri 3-4 potrebbe campare”. Ma nonostante questo la parte razionale di ognuno di noi è pronta all’idea, giunti ad un certo punto, che la vita sia giunta all’epilogo.
Morire a 66 anni, senza aver mai avuto nemmeno un raffreddore o essere stata in ospedale se non per partorire i figli e una volta per un incidente domestico ad un dito, è qualcosa che lascia sgomenti, completamente impreparati e increduli. Intanto, è brutto dirlo, quando una persona è molto anziana è umano e inevitabile si inizino a fare progetti per il “dopo”. Anche solo di breve respiro, come fare per la “robba”, come mettere in piedi una nuova routine quotidiana che non preveda più il caro “quasi” estinto.
Invece qui si parla di una donna che aveva progetti (anche troppi) di ogni genere, che aveva mille fronti aperti, case, orto, animali, restauri…. un vulcano in perpetua eruzione. E che ha lasciato noi vivi sbigottiti e totalmente impreparati. Io per fortuna ho una moglie e due figli piccoli che mi danno tanto a cui pensare, la mia vita quotidiana ormai non aveva più molto a che fare con la mamma. Il che ha come risvolto positivo che non sono molte le occasioni durante una giornata in cui qualcosa me la fa venire in mente e i miei giorni scorrono più o meno uguali a prima del 14 giugno.
Per mio fratello e soprattutto per mio padre, che invece vivevano con lei gomimto a gomito da mane a sera, il colpo è stato ferale. Dico soprattutto mio padre perchè mio fratello è un giovane uomo che sta per compiere la sua vita, trovare un lavoro, sposarsi, iniziare un nuovo giro della giostra che sono le nostre esistenze.
Mio padre invece ha perso colei con cui ha diviso la propria sorte negli ultimi 42 anni, con gli ultimi 12, dalla pensione, in simbiosi assoluta, mattino, pomeriggio, sera, sempre assieme. Interessi comuni, attività comuni. Tutto da cima a fondo sempre fatto in coppia. Il cambiamento sarà radicale e terribile.
Ora però questo blog post che tanto ho impiegato a decidere se scrivere non è dedicato alla sofferenza di mio padre e mio fratello, se non indirettamente, ma ad alcune questioni che la morte della mamma ha fatto emergere nella mia coscienza, nel mio io, che poi è quello che ho deciso di mettere in piazza se pur parzialmente in un blog.
In primo luogo io da diversi anni ho imboccato una strada verso la miscredenza, partendo da una educazione rigidamente cattolica e di stretta osservanza. Ad un certo punto ho iniziato ad essere lambito dai dubbi, che in un primo momento ho cristianamente affrontato intensificando la mia adesione ai culti e alla preghiera. Ma poi la parte razionale, lo studio della storia, dell’antropologia, dei miti e la verifica storica, ne basta una piuttosto superficiale, su quanto fosse fondata sul serio la mia fede, mi ha fatto lentamente scivolare verso l’agnosticismo. Se qualcuno mi parla di Dio, di miracoli, di paradiso, deve portarmi qualche prova a suffragio che sia meglio delle stimmati di Padre Pio e delle altre fattucchiate da ciarlatani che hanno propalato i vari “santi” nella storia. Per il resto non c’e’ altro, ridicoli postulati privi di logica e fondamento. Per lo meno per come la vedo io.
Mi domandavo però se questa mia “deconversione” avrebbe retto alla prova dei fatti, se cioè, nel momento dello stretto bisogno, come pronosticano in molti “eh ma poi quando ogni speranza è finita, ti affidi a Dio, come tutti quanti” avrei rivolto lo sguardo implorante al Cielo. E la risposta è “no”. Dio non mi è nemmeno venuto in mente, ne per maledirlo, ne per chiedergli aiuto. Mio padre, nella sua salda fede, ha spiegato che noi chiediamo a Dio che ci esaudisca ma che siamo come bambini che chiedono quacosa ad un adulto, noi non sappiamo perchè ci neghi quel che vorremmo, ma lui si, ed è per il nostro bene.
Posso quindi pensare che il mio processo di allontanamento dal grande analgesico per il dolore che provoca una morte che è la religione, sia definitivo. Affronto il mio dolore senza palliativi, senza illudermi che mia madre sia ora da qualche parte felice che mi osserva e mi protegge. Mia madre è morta, fine. I suoi resti organici sono in una cassa di larice, un metro sotto terra, che stanno restituendo molecole alla Terra, molecole che diventeranno aria, acqua, piante, pesci, fiori, bambini. Niente altro di lei esiste ancora, salvo il nostro ricordo, i nostri geni, le cose che ci ha insegnato e l’amore che abbiamo e avevamo per lei.
La seconda questione riguarda considerazioni più profonde sul senso della vita, che vengono naturalmente a cascata rispetto a questi pensieri. Quando una persona è relativamente giovane si pensa sempre che ci sia tempo per fare qualcosa e si procrastina il momento in cui farla. Dalle cose banali, come una ricetta di cucina (mia madre era una cuoca superba e per niente gelosa del suo sapere, anzi, se io oggi so mettere in tavola roba commestibile è esclusivamente per merito suo) alle cose più importanti, come risolvere alcuni nodi gordiani di un rapporto conflittuale. Io e mia mamma abbiamo, anzi avevamo, un carattere molto simile. Decisionisti, esuberanti, egocentrici. Il che produceva come effetto che eravamo spesso cane e gatto e finivamo altrettanto spesso per azzufarci. Nell’età critica in cui tagli il cordone ombelicale per diventare un uomo, per prendere decisioni autonome e spesso in aperto contrasto con quel che ti è stato insegnato (vedi ad esempio il credo religioso) ha portato al risultato di scontri al calor bianco, che hanno lasciato (almeno in me) cicatrici difficilissime da rimarginare.
Ultimamente i rapporti erano più distesi, ma non tanto perchè ci fossimo chiariti fino in fondo, quanto piuttosto perchè da uomo adulto e padre davo alle cose che diceva mia madre un peso abbastanza relativo, ed evitavo quindi di farci sopra chissà che castelli e chissà che secchiate di nervoso. Quando però la relazione con una persona è in questi termini, quando questa persona non c’e’ più ti resta un senso di indefinitezza e di sospeso. Quando poi si parla di tua madre, ovvero la persona al mondo che prova per te il sentimento d’amore più genuino, più puro e più incondizionato, questo rende il tutto ancora più difficile da metabolizzare.
Del resto non è che i rapporti fossero complicati per cattiva volontà di nessuno, come detto quando metti vicino un ferro rovente e l’acqua ghiacciata la reazione che hai è inesorabilmente esplosiva.
Di nuovo sarebbe consolatorio pensare che un bel giorno ci incontreremo in Paradiso (anche se io ormai le mie carte per entarci ho paura di esseremele giocate maluccio 🙂 ) e, liberi dai fardelli della vita terrena, potremo ristabilire un rapporto più sereno e disteso. Purtroppo, come detto, non ci sarà nessun incontro perchè non c’e’ nessun Paradiso, o, se vogliamo restare più razionali ed equidistanti possibile, è ben poco probabile che gli uomini abbiano un’anima e che quest’anima sopravviva loro per andare in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. L’anima è il cervello, che è un organo che produce reazioni elettrochimiche che ci danno l’illusione della coscienza. Morto quello, muore anche la nostra consapevolezza di esistere, cioè noi stessi.
Ai miei figli, soprattuto al più grande, abbiamo raccontato la verità, se pur edulcorata per essere accolta da un bimbo così piccino. Che la nonna era caduta ed era all’ospedale per curarsi prima. E che era volata in cielo, dopo (so che sembra una contraddizione rispetto a quel che ho detto prima, ma anche su consiglio di uno psicologo infantile usare questo tipo di immagini figurative aiuta i bimbi a superare lo scoglio del concetto di morte, che ancora non sanno decifrare).
E’ stato molto duro, le lacrime di Giovanni per la perdita dell’amata nonnina sono state laceranti come la sua morte stessa. Debbo dire però che mentre saperla in ospedale malata e sofferente lo rendeva triste e malinconico, l’idea di averla persa lo ha fatto piangere molto, ma poi lo ha rasserenato. Una cosa definitiva, per quanto traumatica, in qualche modo è meno dolorosa che sapere che la nonna è malata. O forse dipende dal fatto che mentre “malato” sa cosa vuol dire, “morto” probabilmente ancora non del tutto. Ogni tanto torna sul discorso, si corregge quando parla dei miei al plurale. I nonni diventano subito il nonno. Il rito della raccolta delle fragole, che era riservato alla nonna, ora è diventato del nonno. E poi c’e’ questa cosa buffa per cui, nonostante noi gli abbiamo parlato di “un angelo” per lui la nonna è volata in cielo come “un uccello”. Un angelo non sa nemmeno cosa sia, quindi naturalmente si rifugia nell’immagine che gli è più familiare.
Sentir parlare della nonna da lui è una delle cose più faticose e dolorose, tanto più che cerchiamo di dissimulare la tristezza e parlarne con serenità e sorridendo, non volendo aggravere di tristezza una situazione già uggiosa.
Ieri abbiamo “festeggiato” il compleanno del più piccolino, che fa 2 anni, un pranzo con i parenti stretti e gli amici più fraterni, in tono naturalmente un po’ dimesso, ed è stata una bella giornata, serena, a suo modo festosa. Certo un po’ malinconica. La sera mio padre è andato (probabilmente) al cimitero, l’abbiamo visto allontanarsi furtivo col motorino senza che ci volesse dire la destinazione, forse per pudore. Ho immaginato che andasse dalla mamma a raccontare della festa del suo “balin” e il cuore mi si è stretto come una nocciolina. Anche quando Giovanni, nel mezzo del pranzo, ha parlato della nonna, ho visto mio fratello vacillare.
E’ straziante pensare che mia madre non vedrà mio fratello sposarsi, non conoscerà i suoi figli, oppure i miei, se ne avremo degli altri. Non vedrà i nostri bimbi andare a scuola, crescere, diventare giovani uomini.
L’unica consolazione è che per quanto 66 anni non siano poi molti, non sono nemmeno così pochi. Ha vissuto una vita non lunghissima ma tutto sommato felice, ha lavorato, si è sposata, emancipata, fatto dei figli, conosciuto dei nipoti, trasmesso dei valori. Se sono la persona che sono, in gran parte lo debbo a lei, al netto delle nostre furibonde litigate.
Speriamo che fra un po’ di tempo, quando le ultime vicende non saranno più così vivide, non penserò a mia madre terrea, gelida, con un rosario incrociato nelle dita, dentro una cassa di legno, oppure intubata e sofferente in una camera di rianimazione. Magari ricorderò le sue risate contagiose, il suo entusiasmo tracimante e le sue ostinate crociate per le cose in cui credeva. Magari la ricorderò raggiante, come il giorno in cui si è laureato mio fratello o come quando sono nati i miei figli. Siamo stati fortunati ad averla con noi per tutto questo tempo, potevamo esserlo ancora un po’, ma ci dobbiamo accontentare.
Mi resterà però per sempre scolpita nella testa l’ultima cosa che ho detto a mia madre ancora viva, la domenica prima la sua caduta, pochi minuti prima di andare via. Cercavo nei suoi vasi dei quadrifogli, e ne ho trovati due. Uno addirittura con cinque foglie. Mia mamma, non nascondendo il rosicamento, mi disse: “belin io li cerco sempre e non li trovo mai, speriamo che almeno ti portino fortuna” e io, di getto:”mamma, ho un buon lavoro, una bella moglie, due figli sani, sono qui con la mia famiglia che mi godo il buon cibo e l’aria fresca , di che altra fortuna ho bisogno?”. Appunto.
Ciao mamma. Addio.
Mah. Sarà una mia limitazione ma non riesco proprio a capire come si possa recuperare (o iniziare ad avere, o perdere) la fede per la morte di una persona cara.
In realtà mi riferivo nello specifico a quando era in ospedale in fin di vita, ma ancora viva. I medici dicevano “ci vorrebbe un miracolo”. E io non l’ho chiesto a nessuno.
Non ho parole utili al momento, solo la consapevolezza che qualcun altro é passato dentro l’inferno (non in senso religioso) e riece ancora a vedere una luce (non religiosa).
Per esperienza, sarà dura più avanti e l’unica cosa possibile é riuscire a parlare, a non chiudersi.
Sul rapporto con la morte e con l’aldilà, personalmente ho passato questo momento terribile che hai vissuto e mi sono scoperto credente, ma non cristiano cattolico, ma credente, forse stupidamente, nonostante tutto. Non ho cercato miracoli, ne li ho avuti, ma ho sentito qualcosa attorno a me, amore, presenza? Immaginazione?
Forse sono quei valori trasmessi da mia madre, oltre al dna, che riecheggiano in me e mi danno forza.
Forza