La carriera politica di Di Pietro, così come è stato per Fini, si sta avvitando forse inesorabilmente verso la fine. E’ vero che loro possono contare su un elettorato smemorato che più smemorato non si può. Però è anche vero che le loro espressioni mimiche di fronte al rintuzzare di accuse sono cose che segnano profondamente un elettore-spettatore. Meno gravi le accuse mosse a Fini, si tratta di un atto di nepotismo tutto sommato veniale, più grave invece la promessa (“se si scopre che la casa è di Tulliani mi dimetto”) non mantenuta, ora che le carte certificano che quella casa è in effetti di Elisabetto.
Più grave invece la situazione di Di Pietro, il quale ha fatto un uso piuttosto disinvolto dei fondi del partito con una commistione non sempre cristallina di uso di immobili per fini privati, pubblici, ibridi, con il fiume di denaro gestito da una ristrettissima oligarchia dalla cui riservatezza non si riesce a chiarire bene quando finisce il partito, inizia la fondazione, finisce la proprietà privata della famiglia Di Pietro.
Penosa poi la difesa (di entrambi) che si aggrappano alle sentenze penali. Una sentenza penale arriva quando si è dimostrato in modo inconfutabile e senza ombra di dubbio che il signor X, all’ora Y, del giorno Z ha commesso il reato W.
Il fatto che Di Pietro si sospetta abbia dichiarato furbescamente come sede del partito una propria abitazione privata facendo pagare un canone di locazione (con cui estinguere il mutuo) e sostenere la ristrutturazione al partito medesimo quando invece in quell’immobile il partito non c’e’ mai stato (per quanto questa sia la tesi di due ex col dente avvelenato, quindi magari è una menzogna) è una cosa forse penalmente irrilevante o indimostrabile (se le carte formalmente dicono che c’era una sede di IDV andare a vedere se 10 anni fa ci sono state o no attività politiche dentro quella sede non è semplicissimo) ma certo eticamente assai discutibile. Così come usare in proprio una donazione di una ricca ereditiera per sostenere l’attività politica di Di Pietro dirottandola sull’acquisto di immobili per uso personale.
Che Di Pietro potesse non essere proprio una candida verginella più o meno lo sospettavamo, diciamo che un po’ faziosamente, essendo il nostro “dobberman” da guardia che, fra i pochissimi, a Berlusconi non le mandava a dire, indulgere troppo sulle sue debolezze (dando seguito alle campagne dei giornali di destra che nove volte su dieci sono fandonie create a tavolino) sembrava un classico autogoal di quelli che a sinistra siamo bravissimi a farci, un esemplare cupio dissolvi. Così abbiamo fatto le tre scimmiette e non ascoltato le denunce di Veltri e soci, facendole passare per frutti avvelenati dati in pasto all’acerrimo nemico Berlusconi per delegittimare il suo grande accusatore. Oggi, con un processo simile a quello che avvenne con la caduta del muro, svanito il rischio Berlusconi avvitato nella sua spirale distruttiva, le ombre su certi atteggiamenti di Di Pietro nei confronti dei denari del partito e di altre vicende, sono diventate insopportabili.
Il che ci insegna una lezione, se anche fare le pulci ai nostri rappresentanti indebolisce il nostro campo a favore del campo avverso, dove invece gli elettori perdonano tutto quanto, dalle troie alle bestemmie agli amici mafiosi ai giudici corrotti, non bisogna transigere. Non si può far finta di nulla. Non si deve far finta di nulla.
E l’altra cosa che ci insegna è che non bisogna combattere contro la stampa schierata e faziosa, perchè se le campagne di Libero e il Giornale fossero state fatte da autorevoli giornali conservatori, magari le avremmo ascoltate con interesse, anzichè bollarle come “metodo Boffo” così come è stato per la gigantesca bufala di Telecom Serbia.