Faccio una cosa che normalmente considero altamente deprecabile, ovvero commentare una sentenza senza averla letta e fidandomi solo della sintesi giornalistica (che potrebbe, come spesso, essere fuorviante). Se lo fosse, chiedo scusa in anticipo.
In sintesi un concorrente di un reality si è sentito dare del “pedofilo”. Ha chiesto che la scena venisse rimossa e non mandata in onda. Gli è stato risposto picche. Ha chiesto i danni, la Cassazione gli ha dato torto, motivando come segue:
– i reality sono “posti” dove è prassi prendersi a male parole
– chi va ad un reality conosce questa prassi e la accetta implicitamente
– il fatto che questa offesa venga reiterata anche nella “vita reale” è frutto del processo susseguente alla notorietà (che uno si è andato a cercare nel reality) oltre che alla naturale tendenza a ripetere i comportamenti che si vedono in tv.
Ora, detto che “pedofilo” non è “stronzo” e quindi c’e’ insulto ed insulto a me sembra assurdo che la Cassazione si arroghi il diritto di stabilire in quali luoghi sia consono o meno offendere qualcuno e, allo stesso tempo, che legittimi i reality show ad essere la peggio spazzatura senza regole che c’e’ in televisione.
Per carità, probabilmente dopo questa sentenza chi andrà ad un reality partirà già con la consapevolezza che potrà ricevere insulti di ogni sorta, anche i più grevi ed infamanti, che tanto va bene così. Se mai potrebbe reagire con una testata in pieno volto. Magari la Cassazione sentenzierà che siccome i reality sono trasmissioni in cui si incita a scannarsi fra concorrenti, pigliare qualche ceffone va messo nel conto.