Debbo dire che, pur essendo spesso in aperto disaccordo col professor Ichino, questa volta la sua proposta non mi sembra così irragionevole. E’ un do ut des, rispetto al disastro attuale del precariato e al futuro ancor peggiore disastro della ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro. Creare lavoratori che sanno di poter perdere il posto, avendo però una tutela d’uscita, ma che in cambio hanno tutti i diritti e le tutele del lavoro subordinato a tempo indeterminato, mi sembra un giusto compromesso. Ci vorrebbe oltre a questo un incremento dei salari, in modo che il periodo ammortizzatore possa essere vissuto con minore preoccupazione.
In estrema sintesi: propone di abolire i contratti di precariato (co.co.co. , co.co.pro., finte p.iva, contratti a termine e finti stages…) con l’esclusione dei lavori stagionali o le sotituzioni per maternità o malattia e trasformarli tutti in contratti a tempo indeterminato. In cambio le aziende hanno la facoltà per riorganizzazione o ristrutturazione di licenziare chi vogliono, in cambio di un congruo preavviso e di un periodo di sostentamento economico di 3 anni (90, 80 e 70% dello stipendio) gradualmente a ridursi il carico dell’INPS e ad aumentare quello dell’impresa. L’impresa avrebbe quindi l’onere di tentare un ricollocamento del lavoratore, incentivata dal fatto che all’aumentare del tempo senza lavoro aumenterebbe anche il suo costo per ammortizzare il licenziamento (è quello che succede in quasi tutto il nord europa, nessuna invenzione particolare).
Ora io mi trovo nella situzione di essere un lavoratore a tempo indeterminato con tutte le tutele, mentre mia moglie è una “finta” P.IVA e non ne ha alcuna. Sinceramente riterrei giustissimo poter fare a metà delle mie tutele con le sue, trovarci entrambi ad avere un contratto a tempo indeterminato avendo sempre un po’ il rischio che se l’azienda si trova in acque cattive ci manda a casa (cosa che per altro, magari in modo più burocratizzato rispetto alla riforma) può fare già ora con la CIG e le varie forme di mobilità. Io lavoro dal 1994 ed ho sempre visto che le aziende investono nelle persone, cercano di farle crescere e fanno grande fatica a trovare persone formate sul mercato del lavoro. Per cui non è interesse di nessuno che qualcuno vada via.
Io non so che tempi verranno e se io sia un lavoratore particolarmente fortunato perchè lavoro in un settore abbastanza al riparo dalla crisi (almeno per ora) ma credo che in 3 anni avrei tutto il tempo di rimettermi in carreggiata, alla peggio, con un po’ di TFR, mettendomi una piccola attività in proprio. E’ chiaro che è un’evento inauspicabile, ma è altrettanto vero che ci sono 10 milioni di italiani che fra nero e precariato e lavoro autonomo ancorchè parasubordinato non godono di nessuna, seppur minima, tutela.
Non parliamo poi del fatto che mia moglie da vecchia, senza il mio sostegno, sarebbe una povera indigente, al limite della minima sussitenza vitale, visto il disastro che produce in termini previdenziali questo genere di inquadramenti.
La giustizia sociale passa per le tutele di tutti, non per le tutele di pochi, anche se so perfettamente che non si parla di tutele in contrasto fra di loro e che nessuno ruba niente agli altri.
Nessuno mi venga a parlare dell’articolo 18. In Italia ci sono state sentenze favorevoli al lavoratore anche in casi incredibili, tipo quel postino che anzichè consegnare la corrispondenza abbandonava il servizio per “motivi familiari improvvisi” senza giustificazione e senza preavviso. Il giudice ha imposto di riassumerlo non ritenendo questa giusta causa di licenziamento.
E’ vero che le norme ci sono, ma se non funzionano, è meglo cambiarle che incapponirsi. E poi i ricorsi legali imbottigliano le questioni per lustri (in media oltre 7 anni per una sentenza di lavoro).
Naturalmente anche nella proposta Ichino resta valido che se qualcuno viene licenziato perchè è gay, negro, ebreo, scambista, musulmano o transessuale questo licenziamento può essere impugnato e ribalatato in quanto discriminatorio.
Capisco la preoccupazione dei sindacati ma, rispetto alla situazione attuale, lo considererei un grosso passo in avanti.
Il problema è che i sindacati si occupano dei lavoratori a tempo indeterminato, e non hanno alcun interesse ad occuparsi di chi “sta fuori”.
Un po’ la stessa cosa accade con le pensioni: una riforma sarebbe necessaria, ma chi è già in pensione, o vicino ad andarci, non vuole cambiamenti, mentre chi è giovane accetterebbe più facilmente dei cambiamenti che lo influenzeranno tra venti-trent’anni.
Questo a prescindere della bontà delle riforme, e da chi presenta le proposte di modifica.