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La domanda di Dell’Utri forse, ma è solo un’ipotesi, è da mettere in relazione al fatto che Ciancimino jr lo ha accusato, nel processo Mori in svolgimento a Palermo, di essere l’architrave delle relazioni pericolose tra lo Stato e la mafia. E la questione mafia vede Dell’Utri sulla sbarra degli imputati con un notevole carico di amarezze e di pene.
Fatti notori. L’unico che pare non sapere è il presidente del Senato, Renato Schifani, a cui è devoluto il potere di ritenere “ammissibile” o meno un’nterrogazione. In questo caso appare evidente che non compete al ministro comporre il registro degli indagati; né compete al ministro giudicare la qualità del lavoro di quel magistrato che tra l’altro si sta anche occupando del senatore interrogante.
Né può Alfano dire, almeno ufficialmente, se Ciancimino jr sia un coraggioso teste dell’accusa o un vile servo mafioso, un picciotto o un quaquaraquà.A norma di regolamento articoli 139 e 146 il presidente avrebbe dovuto rispedire a Dell’Utri le sue domande invitandolo a rivolgersi altrove.
Forse anche Dell’Utri sa che la sua interrogazione non avrà mai una risposta. Però sa anche che utilizzando questo strumento egli si è guadagnato l’immunità penale “opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni” da eventuali rivalse del magistrato che – sentitosi offeso – avrebbe potuto avanzare se quelle stesse parole il senatore le avesse pronunciate al bar.
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