Una delle tante litanie che si sentono propalare dalle varie fanfare di regime riguarda questo assioma: “il tasso di disoccupazione italiano è sotto la media europea, per cui da noi le cose vanno meglio”.
Già questa affermazione apodittica di per se meriterebbe un approfondimento e un discernimento, ma facciamo finta che sia vero. Il tasso di disoccupazione è comunque uno degli indici primari della salute dell’economia. Qual è però il suo limite? Che viene calcolato sulla proporzione che esiste fra coloro che cercano lavoro e coloro che il lavoro ce l’hanno. Ovvero. Ci sono 100 persone, di cui 90 lavorano e 10 no, il tasso di disoccupazione sarò 10/90*100, ovvero 11 e rotti per cento. Questo cosa significa, significa che se uno non cerca lavoro perchè non ha speranza di trovarlo o perchè la sua condizione familiare non glielo consente (deve badare ai figli, deve badare ai genitori anziani eccetera) non risulta in questa statistica. Il tasso di occupazione invece riguarda proprio la quantità di persone che lavorano fra la popolazione attiva, che si calcola in quella compresa fra i 15 e i 65 anni. Nei paesi in cui le cose vanno bene questo tasso raggiunge l’85%. In Italia siamo attorno al 60%, ma con una componente femminile del 50, che è fra le più basse del Mondo e la più bassa dei paesi occidentali. Naturalmente questo tasso risente della grave discrasia che esiste fra il Nord e il Sud del paese.
Non solo. Questo numero tiene anche conto di tutte quelle persone che per un qualche motivo si trovano a ricevere un sussidio come la cassa di integrazione, per cui risultano essere persone attive ed occupate, quando in realtà gravano (ovviamente loro malgrado) sulla collettività.
Tutto questo per dire che, non ostanti i procalmi di ottimismo, il tema del lavoro resta centrale e la politica non sembra affatto accorgersene, salvo rare lodevoli eccezioni.