Leggendo sulla polemica relativa al lavoro pubblico e alla possibilità di licenziare mi è sovvenuta una discussione che ebbi tempo fa con un dipendente pubblico, in particolare nelle forze armate. Chiacchierando sullo stato di salute della società e sul fatto che lavorando in una grande multinazionale ogni vento di crisi mi fa perdere ore di sonno, visto che quando le aziende sono così grandi ristrutturare può significare spegnere l’interruttore su interi dipartimenti come niente fosse, in qualche modo gli feci notare che lui certo faceva magari un lavoro non entusiasmante, ma almeno salvo reati, nessuno il suo posto lo avrebbe messo in discussione fino alla pensione. Lui annuì ma mi fece notare, con un po’ di amarezza, che del resto era vero pure che i suoi scatti di carriera e di anzianità erano uguali tanto ai supereroi che si fanno un mazzo tanto, quanto ai fannulloni che passano le giornate a leggere la Gazzetta.
Io penso che un criterio di equità coi lavoratori privati potrebbe essere che anche nelle PA si può rischiare il posto se l’ente pubblico è in difficoltà economica molto grave o per mille altri motivi. In compenso però bisogna iniziare ad istituire un percorso meritocratico per cui un giudice, poliziotto, impiegato, funzionario che batte la fiacca o ha risultati scadenti, resta al palo, mentre uno che si sbatte e fa bene il suo lavoro, ha una carriera che corre più in fretta dello standard. I modi per fare valutazioni oggettive, magari perfettibili, ma esistono, a prova di discussione.
Tu vivi sulla luna se speri che qualcosa del genere avvenga (e parlo in generale, non solo per l’Italia, fidati).