Il postulato dominante: “non si fanno i processi in televisione” ma chi diavolo l’ha stabilito? E perchè poi?
Ora, fossimo in un’epoca in cui la televisione è un media rispettoso, che ha pudore di mostrare oltre un certo limite questioni che hanno a che fare con la vita della gente comune, potrei capire (a fatica) che il processo di un’alta carica dello Stato possa in qualche modo afferire alle sue questioni personali e che si debba attendere con pazienza l’esito del processo mantendendo riservatezza sugli atti.
Ma la televisione odierna è un coacervo di ogni spazzatura, di ogni più recondito affare privato della casalinga di Voghera, di ogni signora Maria che c’e’ in tutti i condominii.
Ci sono stati dei fatti di cronaca sviscerati fino ben oltre ogni limite imposto dalla deontologia, appostamenti sotto casa di persone ancora oggi presunte innocenti.
Non c’e’ pudore per il dolore, per i rapporti personali, le persone mettono nell’agorà mediatica in bella mostra cose che fino a qualche anno fa era perfino difficile sentire nelle discussioni fra le mura di casa.
I miei genitori, che sono gente all’antica, di certe cose davanti a me non hanno mai parlato apertamente, ma sempre usando perifrasi e sottintesi.
Mi resta quindi incomprensibile capire sulla base di quale legge sovrannaturale parlare dei fatti di Berlusconi e Ruby scendendo nei dettagli delle vicende processuali sia una violazione di qualsivoglia regola etica che non sia già stata infranta per la sigora Maria di Velletri o per il signor Mario di Civitanova Marche.