L’Italia, per ragioni storiche, è una Repubblica in cui la Costituzione post-fascista ha attribuito pochissimi poteri a molte diverse istituzioni, le quali concorrono fra di loro a fromarne uno abbastanza solido da governare. Il motivo è abbastanza chiaro, un presidente fortissimo, in stile USA, subito dopo il fascismo e la guerra mondiale e in ampia avvisaglia di guerra fredda imminente, avrebbe significato il rischio di creare una democrazia fragile come le foglie d’autunno. I padri costituenti quindi hanno creato una forma repubblicana in cui gran parte del potere era detenuto dai partiti e in cui le istituzioni non contavano quasi niente. I vecchi compagni del PCI ricordano che negli anni ’70 quando si voleva trombare qualcuno lo si candidava a sindaco o presidente di qualche regione o provincia. Lontlaano da Botteghe Oscure avrebbe cessato di contare alcunchè. Dentro alle istituzioni ma lontano dal potere vero.
Con l’avvento della Seconda Repubblica e del “mattarellum”, oltre che la riforma del titolo quinto, alcune istituzioni, anche se solo sostanzialmente e non del tutto formalmente, hanno iniziato a contare di più. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ad esempio, viene in qualche modo investito direttamente dal voto popolare, sottraendo un compito costituzionalmente affidato al Presidente della Repubblica ma di fatto attribuendogli un potere superiore a quello della Carta. Non è un caso che la Consulta abbia bocciato il Lodo Alfano proprio su questo punto e altrettanto non è un caso che da noi il Presidente del Consiglio non venga chiamato Primo Ministro come altrove. In effetti non è un “primus inter pares” ma solo qualcuno che, per la Carta, coordina e indirizza. Quindi non “comanda” il Consiglio dei Ministri (tant’e’ che dopo averlo nominato, non è più in grado di ritrare una delega ad un ministro, cosa che ad esempio può fare un sindaco con un suo assessore).
In più c’e’ il biparlamentarismo perfetto. Ovvero ogni legge deve uscire identica da entrambi i rami del parlamento prima di poter essere sottoposta al Presidente della Repubblica, il quale ha il potere di non firmarla e quindi di non renderla effettiva (lo diventa nel momento in cui è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale). In più esiste un organo, la Corte Costituzionale, che è di nomina in gran parte politica (un terzo di giudici nominati dal parlamento, un terzo dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle magistrature dello Stato), che è un’alta magistratura la quale può, se sollecitata, stabilire se una legge sia o meno conforme alla Costituzione. A differenza del Presidente della Repubblica, che può dissentire solo in caso di manifesta incostituzionalità, ma che di fatto esprime un giudizio su ogni provvedimento, la Consulta non può intervenire motu proprio, ma solo se sollecitata da qualche altra magistratura dello Stato o da altri organi (e.g. sui conflitti di attribuzione dei poteri fra Regioni e Stato).
Quindi di fatto il potere legislativo è attribuito ai due rami del parlamento, ma sotto l’egida del Presidente della Repubblica in prima istanza e della Consulta (se sollecitata) in seconda istanza. Il potere esecutivo è affidato al Governo, che viene formato da un Presidente del Consiglio incaricato dal Presidente della Repubblica (anche se ormai è un pro forma). Una volta formato il Governo questi deve andare in Parlamento e verificare se ne ha la fiducia (e quindi si sottopone al cosiddetto voto di fiducia). Se il Governo viene sfiduciato, il Presidente della Repubblica ha il potere (e il dovere) di verificare se in Parlamento esiste una maggioranza (eventualmente anche alternativa alla prima) che sia in grado di sostenere con la fiducia un nuovo Governo e, a questo punto, affidare l’incarico a qualcun altro. Quando cadde il governo Prodi questo tentativo fu esperito attorno alla figura di Ignazio Marino.
Infine il terzo potere, quello giudiziario, è affidato alla Magistratura, che si divide in molte diverse magistrature, da quella amministrativa fino alla Corte dei Conti, e viene “gestita” da un organo di autogoverno, che è il Consiglio Superiore della Magistratura, che anch’esso ha una parte di nomina politica, anche se all’inverso rispetto alla Consulta, un terzo di provenienza parlamentare (i cosidetti “laici”) e due terzi di provenienza dalla magistratura, con Procuratore e Presidente della Cassazione membri di diritto e con il Presidente della Repubblica che è anche il presidente del CSM medesimo. La presidenza è però, per prassi, solo di garanzia. Le funzioni di direzione vengono svolte dal vicepresidente il quale viene scelto autonomamente dal consiglio ma solo fra i membri di nomina parlamentare. La funzione prima del CSM è quella di vigilare e salvaguardare l’indipendenza del potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato (in particolare da quello esecutivo).
Questa impronta è stata data anche all’esercizio del potere giudiziario. In primo luogo in Italia c’e’ l’obbligo dell’azione penale, ovvero ogni qual volta una Procura della Repubblica viene a conoscenza di una “notitia criminis” ovvero di un fatto che potrebbe costituire reato, è obbligata ad intervenire e “aprire un fascicolo” come si sente spesso dire dai media. In più l’applicazione delle leggi deve essere attuativa e non interpretativa (mi scuso coi legulei per i termini poco tecnici ma vorrei essere chiaro nell’esposizione) a differenza ad esempio del diritto anglosassone. In pratica mentre nei paesi anglosassoni “normalmente” una legge individua dei principii e poi un giudice, in base anche ai propri convincimenti, interpreta questa legge e delibera una sentenza (ed è il motivo per cui spesso nei film americani vediamo citate altre sentenze celebri come “già giudicato”) che costituisce a sua volta fonte di diritto. Questo produce una quantità enorme di procedimenti, molto maggiore che in tutto il resto d’occidente, e una messe sconfinata di leggi, che devono essere prodotte a ritmi industriali per “stare dietro” al Mondo che evolve. Altrimenti si creano dei vuoti legislativi e normativi e non si può procedere con una eventuale condanna. Un caso celebre fu quello delle combine calcistiche di inzio anni ’80. Non esistendo ancora il reato specifico di frode sportiva, la giustizia penale fu costretta ad assolvere tuti quanti.
In più, sempre perchè si temeva che un singolo magistrato avrebbe potuto decidere secondo il proprio convincimento o avrebbe potuto emettere sentenze ingiuste se non addirittura eversive, vennero posti due contrappesi a garanzia. I tre gradi di giudizio (ovvero Appello e Cassazione) e l’immunità parlamentare. Entrami questi istituti sono stati talmente abusati da farli diventare addirittura controproducenti. Partiamo dal secondo. Nacque con un intento nobilissimo, ovvero sottrarre un parlamentare dall’azione penale obbligatoria, facendola filtrare dall’aula parlamentare, che avrebbe dovuto decidere se l’azione del magistrato verso il politico fosse legittima oppure persecutoria (il “fumus persecutionis”). Ca va sans dire che in tutta la storia repubblicana i politici si sono sempre autoassolti, in modo assolutamente trasversale (do ut des) e che ogni volta che un magistrato li ha inquisiti o indagati lo ha fatto sempre con intenti persecutori o secondi fini. Questo per lo meno secondo il giudizio del Parlamento sovrano.
Anche i tre gradi di giudizio, nati anch’essi per essere un robusto sistema di garanzia, si sono trasformati nel tempo in grimaldelli in grado di mandare al collasso il sistema giustizia e il tutto “grazie” all’accoppiata con altro strumento perverso che è la prescrizione, ovvero la possibilità che se fra la commissione del reato e l’emissione della sentenza passa troppo tempo il reato viene dichiarato estinto. In quasi tutti i sistemi giudiziari stranieri che io conosco, questi due sistemi di garanzia esistono, ma sono fatti in modo molto diverso. Intanto per esempio se viene emessa una sentenza, ancorchè di primo grado, la prescrizione cessa. Il che produce come risultato che uno ricorra ai gradi successivi solo se ritiene di avere ragione nel merito, non con il solo scopo di far passare il tempo resistendo in giudizio e puntando all’estinzione per prescrizione. In più ad esempio il bivio processuale avviene all’inizio. Il procuratore si presenta da imputato e avvocato e dice: “le prove che ho contro di te sono questa, questa e questa, se ci eviti la fatica di farti processare, ti diamo 20 anni anzichè 35”. Sapendo di andare incontro a sconfitta certa, il colpevole tende ad accettare il patteggiamento . In questo modo si risparmiao molto tempo e molto denaro nella celebrazione di processi lunghissimi (che magari poi in Italia portano all’estinzione del reato per prescrizione). In Italia invece, anche se il patteggiamento deve essere accolto dal giudice e non solo approvato dalle parti, può essere chiesto in qualsiasi momento durante lo svolgimento del processo. Il che può produrre il risultato paradossale di una pena ridotta nonostante il processo sia stato celebrato con tutto lo spreco conseguente di tempo, energie, denari del contribuente. In più all’estero succede anche se un cittadino viene assolto in primo grado, la Procura non può ricorrere contro questa sentenza di assoluzione. E’ altrettanto vero che invece il cittadino condannato, se presenta richiesta di appello, può vedersela respingere, mentre da noi è accolta d’ufficio. In più qui da noi, se il ricorrente è solo lui e non la procura, non può rischiare che venga aumentata la pena inflitta in primo grado, ovvero a ricorrere in Appello, a parte le spese legali, non ha nulla da rimetterci, ma solo da guadagnare. E così vale anche per la Cassazione.
Negli Stati Uniti, per dire, le sentenze che sono arrivate fino al terzo grado di giudizio, ovvero la Corte Suprema credo siano state meno di 200 in un anno.
Tutto questo è per dire che, quando vengono presentati i modelli stranieri, per la giustizia o per la forma repubblicana, bisogna considerarli per intero, ovvero considerare anche aspetti che appaiono marginali, ma che in realtà sono determinanti nel concepire una nazione in cui i poteri dello Stato sono fra di loro in equilibrio e nessuno sovrasta l’altro e non si corre il rischio di una deriva antidemocratica.
Nella seconda parte di questo post (magari fra qualche giorno) proverò a dire come io penso, molto modestamente, lo Stato andrebbe riformato per renderlo più efficiente oltre che facendo aumentare la partecipazione dei cittadini.