Ho letto questo articolo di Repubblica che parla di “raccomandazioni” e della poca disponibilità di chi ne fruisce ad ammetterlo.
Allora mi sono interrogato. Io lavoro dall’estate del 1994, con una parentesi di un anno per il servizio di leva.
Da allora ho cambiato 4 lavori. Prima ho fatto il consulente per una società, della quale sono in seguito diventato socio lavoratore. Questo impiego l’ho trovato grazie ad un mio insegnante di informatica dell’Istituto Tecnico il quale a sua volta faceva il consulente in questa società. Per altro era la stessa società che aveva erogato un corso di formazione su Autocad che il nostro istituto aveva organizzato per gli studenti più “meritevoli” per lo meno nelle materie informatiche. E io ero stato fra i prescelti. Ergo la società mi conosceva, il mio professore che era stato mio sponsor per il corso è stato mio sponsor anche per l’assunzione.
Poi con un altro socio transfugo e un cliente di questa società ne abbiamo fondata un’altra, l’avventura è però durata solo un paio d’anni.
Dopodichè sono andato a lavorare per un’altra azienda che era stata nostro fornitore in entrambe le avventure imprenditoriali, per conoscenza diretta dell’Amministratore Delegato. Dopo un po’ di anni ho deciso di cambiare e sono venuto a lavorare dove sono ora, una grandissima multinazionale.
Il posto l’ho avuto grazie ad un amico di vecchia data che lavora qui dentro e che cercava persone skillate, con il quale ho avuto un colloquio, per così dire, proforma, visto che conosceva esattamente le mie capacità tecniche e il fatto che sono un lavoratore serio e affidabile.
Sulla base di questa sintetica mia storia di lavoratore, rientro nella categoria dei raccomandati?
Voglio dire, il fatto che un mio professore mi abbia sponsorizzato o che un amico mi abbia chiesto di andare a lavorare per lui, fa di me un raccomandato?
Per quello che intendo io “raccomandazione” non significa avere una conoscenza diretta del datore di lavoro che ti introduce con maggiore agio, ma avere un tizio “x” che è sindaco, vescovo, deputato, massone eccetera che dice all’azienda Y: “assumi questo ragazzo “z” perchè te lo dico io” e per amicizia, timore, deferenza eccetera, senza valutarne le capacità, l’azienda Y assume “z” su input di “x”.
Sono anche io, come dice l’articolo, indulgente con me stesso e inflessibile con gli altri?
Ecco, è il confine tra le due situazioni che è davvero molto labile, secondo me. Tu sei sicuramente competente e chi ti ha assunto lo ha fatto conoscendo le tue competenze. Ma, a livelli diversi (cioè a livello di primo impiego per esempio), quanto contano le conoscenze e quanto le competenze?
Voglio dire: se lo studente A è un po’ meno bravo dello studente B, ma il padre di A conosce un amministratore delegato di un’azienda e il padre di B fa l’operaio e non conosce nessuno, come va a finire, secondo te?
Non è indifferente la cosa.
E non rispondermi che sarà poi la vita lavorativa a premiare i migliori. Immagino che anche tu, come me, sia circondato da persone premiate e non per questo tanto migliori…
Secondo me le connessioni sociali sono un ottimo patrimonio per pubblicizzarsi nel trovar lavoro, e non c’è niente di male in questo (per dire, linkedin esiste esattamente per questo). Sulle persone che conosci ci sono più informazioni, e questo ti permette di essere più sicuro della gente che vai ad assumere.
Secondo me il vero problema risale nel fatto che spesso, in Italia, chi assume non rischia nulla se prende gente che non è capace. Se un dirigente rischia il posto, ci pensa bene prima di assumere l’amico dell’amico incapace.