Quando Tiziano Treu era ministro del lavoro e Prodi presidente del consiglio, io stavo sulle barricate rifondarole, incazzato come una vipera calpestata, a sinistra della CGIL che assisteva inerme di fronte allo scempio che si stava compiendo dei diritti dei lavoratori. La tesi di allora era: maggiore flessibilità crea maggiore occupazione. Mentre la mia, sulle barricate, era: maggiore precarietà crea solo maggiore precarietà. Gli ultimi 20 anni hanno dimostrato che, magra consolazione, la ragione ce l’avevo io. La disoccupazione è alle stelle e ancora peggio va in termini di occupazione (che come è noto sono due cose diverse, i disoccupati sono quelli attivamente iscritti alla ricerca di un lavoro mentre gli inoccupati sono anche quelli che magari lavorerebbero ma tanto non c’e’ niente da fare). L’occupazione femminile in Italia ha il dato peggiore dei paesi OCSE, forse di recente superata dalla Grecia e dalla Turchia. In compenso i giovani che lavorano in gran parte sono precari, gente che prende stipendi miserabili, senza tutele, senza presente e senza futuro. Che oltre al dramma umano di aver sperperato talenti e cervelli per infilarli dentro ai call center a fare concorrenza agli albanesi e ai tunisini che spiccicano qualche parola di stentato italiano, si riverseranno poi sotto forma di piaga sociale quando, da vecchi, avranno una pensione da fame e i loro genitori che oggi contribuiscono a gran parte delle spese saranno sottoterra. Magari subiranno la doppia onta di essere mantenuti in gioventù dai padre e in vecchiaia dai figli.
Fare concorrenza ai paesi emergenti in termini di concorrenza al ribasso si è rivelata per quel che era, una scelta sciagurata. Il fatto che dopo quel fallito di Treu sia arrivato Maroni a fare il ministro del lavoro, che avrebbe fatto far bella figura per comparazione anche ad un topo con la demenza senile, non leva le responsabilità gravi e tragiche di quella stagione della sinistra (che senza aver guadagnato mezzo punto di considerazione nell’area moderata ha in compenso dissipato gran parte di quel che aveva nella sinistra più radicale).
Ora vedo che con il Job Act si introduce maggiore facoltà di licenziare. Io ho scritto spesso qui sopra che quel che va ben definito e che deve essere non oggetto di aleatorietà è il concetto di giusta causa. Se uno passa le giornate su Facebook invece che lavorando questo credo sia una giusta causa per buttarlo fuori dalla porta. Anyway, quali che siano le fattispecie, una volta ben delinieate e concordate fra le parti sociali, il licenziamento per giusta causa mi sembra già di suo sufficiente. Certo andrebbe inserito in un contesto in cui l’eventuale causa di lavoro non fa la fine di quella di Schettino, ancora pendente.
Di nuovo una profezia: maggiore libertà di licenziare non significa maggiore occupazione, solo maggiore libertà di licenziare. Presumo (spero) che i dati dell’occupazione e disoccupazione questa volta mi smentiranno, non fosse altro che se le cose andassero ancora per un po’ peggio di così, caliamo la saracinesca e chiudiamo bottega.
E’ grottesco che i maggiori arretramenti in termini di diritti sociali vengano fatti quando governa la sedicente sinistra.