Politica e istituzioni

Non mi sogno di fare la polemica demagogica sui politici che “pagati dai cittadini” per “fare delle cose” in realtà ne “fanno delle altre”. Questo è pane per i grillini, lo lascio tutto a loro.

Quello però che mi preme sottolineare è che nella vituperata e corrotta Prima Repubblica, quando un politico assurgeva ad una carica istituzionale, quale che fosse, abbandonava (anche se magari solo formalmente) le cariche di partito.

Anzi, nel PCI, siccome il vero potere era alle Botteghe Oscure, quando si voleva far fuori qualcuno lo si candidava per qualche istituzione (presidenza di regione o provincia o altro) perché avrebbe così dovuto mollare la presa sul partito e le proprie velleità di carriera.

All’epoca accettare le candidature “per spirito di servizio” non era una formula ipocrita ed un eufemismo per celare la propria brama di visibilità e potere, era davvero un sacrificio che si doveva fare al partito, sperando poi magari di esserne remunerati in seguito.

Oggi invece chi sta nelle istituzioni se ne infischia del fatto che un ministro è ministro di tutti, anche di quelli che non l’hanno votato e che, pur nel solco del proprio programma elettorale, che è inevitabilmente di parte, deve svolgere il proprio ruolo in modo neutrale e non fazioso e stare bene alla larga da comizi elettorali ed affini, per evitare che un avversario politico insulti l’uomo politico ma anche l’istituzione della quale è temporaneamente (e spesso immeritatamente) investito.

 

Quanto non lavorano Salvini e Di Maio, contato

Source: Quanto non lavorano Salvini e Di Maio, contato – Il Post

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