Ieri si è consumata una giornata tragica della storia degli USA, probabilmente tanto tragica che sarà la Storia a darci, fra qualche anno, la piena grandezza e la piena visione del baratro sopra il quale l’America ha pericolosamente sfioranto il ciglio.
Il Congresso ha bocciato il piano Bush, nonostante l’irrituale e disperato appello della mattina presto, con tanto di convocazione frettolosa e affannata della stampa, messi da parte i soliti toni da pistolero spaccone, ma con gli occhi dello studente che fatta la marachella cerca disperatametne consenso fra i suoi compagni per edulcorare la punizione in arrivo.
La maggior parte dei voti contrari sono arrivati dai Repubblicani, cosa che per le logiche politiche italiane suona quasi incredibile, visto il colore del presidente in carica, ma li le logiche sfuggono il nostro modo di comprendere la politica. I deputati, a breve tempo saranno sottoposti al vaglio popolare. La “gente” il “popolo americano” quello che in gergo i media chiamano “Main Street” per fare da contraltare a “Wall Street” ovvero della finanza per antonomasia, non vogliono sentir parlare di intervento pubblico e sono anzi imbufaliti dall’idea che sia la fiscalità generale a tamponare le falle prodotte dai Golden Manager di W.S.
E i deputati che fra poco dovranno essere giudicati dai loro elettori, questo lo sanno bene. E a maggior ragione lo sanno bene i Repubblicani, che per anni hanno detto ai loro elettori che la scuola è privata, la sanità è privata, che lo Stato non deve intervenire in economia, che in Europa c’e’ si, il welfare, ma uno Stato che ingerisce indebitamente nella libera economia determinando alterazioni nella concorrenza e facendo venir meno i principi della scuola di Chicago (di cui Paulson, il fautore del super finanziamento anti crack, è paradossalmente uno degli esponenti di spicco).
Per loro sarà dura, una volta che, inevitabilmente, avranno accettato l’amaro boccone, spiegare ai propri elettori che per fare ospedali e scuole pubbliche lo Stato non c’e’, ma per salvare le banche che hanno intossicato i mercati con i famosi prodotti strutturati subprime, salvo poi trovarsi col cerino in mano, i soldi invece, letteralmente, si fabbricano nottetempo.
Paradossale la situazione dei due candidati presidenti. McCain ha prima annunciato in modo molto teatrale che avrebbe interrotto la campagna elettorale per andare a Washington a “spingere” la soluzione Paulson come unica via d’uscita alla crisi. Salvo poi fare marcia indietro, salvo addirittura, infine, non essere nemmeno presente all’elezione. Obama invece, che sa di trarre grandissimo beneficio elettorale da quest’ecatombe (da quando è fallita Lehman ha preso 10 punti sul suo avversario) ha appoggiato il piano Bush ma certo senza fare fuoco e fiamme. E lo ha appoggiato perchè sa bene che, se non passasse, e lui venisse eletto, si troverebbe a governare l’America nel pieno della peggiore crisi della sua storia dai tempi del New Deal di Roosevelt.
A questo punto staremo a vedere se prevarrà la linea oltranzista oppure, dopo l’ennesimo tonfo di Wall Street, prevarrà il buon senso. Anche perchè se “Main Street” per ora tiene la linea del “lasciatele fallire” quando lo tsunami finanziario si trasformerà in uno tsunami economico e si abbatterà sulla vita di milioni di americani, probabilmente rimpiangeranno di non aver dato retta a Paulson.