Mi spiace per i 25 lettori del mio blog che saranno ammorbati dal rileggere spesso cose che ho già scritto, ma visto che da 20 anni la politica italiana sembra avvitata attorno allo stesso paletto, anche i commenti occorre che siano ripetuti alla nausea (per il poco che vale).
Le regole della democrazia non sono scritte nella pietra, non sono i 10 comandamenti scesi dal Sinai nelle mani di Mosè e vergate direttamente dalle mani di Dio. Ci sono democrazie in cui funziona il suffragio universale e la democrazia diretta per ogni decisione, altre in cui tutto è mediato, alcune in cui si elegge perfino lo sceriffo e il giudice, altre in cui si da un generico voto ad un partito che poi sceglie lui per noi.
Quindi in qualche modo la regola secondo cui un politico non possa essere giudicato se non da suoi pari, non possa essere giudicato se non dalla Camera di cui è membro, ha una sua fondatezza e sta nell’alveo della piena democrazia. Nessuno può entrare a gamba tesa in un organo costituzionale e determinare chi sono i suoi membri sulla base perfino di una condanna penale. Ci fu il caso clamoroso di Massimo Abbatangelo condannato per strage (in realtà detenzione di esplosivo) e coi permessi per andare a votare in Parlamento da Regina Coeli.
Questo detto l’aver delegato alla Magistratura un compito così fastidioso come quello di emettere delle sentenze che poi hanno effetto anche sulla “agibilità politica” delle persone è stato figlio del modo a dir poco leggero con cui i nostri “onorevoli” rappresentanti hanno fatto uso di questa tutela trasformandola in odioso privilegio.
E poi c’e’ un altro punto davvero decisivo. Per anni alcuni temerari hanno provato a portare i processi di Berlusconi in televisione. Televisione nella quale si vedevano ricostruzioni del pozzo di Avetrana, della villetta di Cogne e di Garglasco e improvvisati crimonologi a dir la loro sulle mutande sporche della Franzoni. Però per i processi di Silvio tutto questo “diritto di cronaca” non valeva. No, per lui “i processi non si fanno in televisione, i processi si fanno nei tribunali”. Non si può trasformare un dibattito televisivo in un processo e alla via così.
Bene, come detto prima, queste sono regole che ci diamo, e a me può perfino stare bene. Sinceramente preferirei che di un politico (per di più così importante) si parlasse con la dovizia di particolari necessaria a formarsi una propria opinione (così come ho fatto io) se nei suoi confronti la magistratura è davvero pregiudizialmente ostile oppure se fonda le proprie accuse sui fatti. Invece la nostra “civiltà giudirica” ci impone di non dire niente, non sapere niente e aspettare “il terzo grado di giudizio”.
Ora però che questo è arrivato, non è che possiamo dire “eh ma Berlusconi l’hanno votato milioni di persone e quindi i tribunali non hanno titolo”. Delle due l’una. O i processi li facciamo nell’agorà moderna dei media, così i cittadini giudicano se i comportamenti del politico sono degni o meno di rinnovare in lui la fiducia, oppure si fanno nei tribunali, e questa decisione la si lascia ai giudici. Per altro in un sistema con le nostre garanzie la possibilità di trovare tutti giudici pregiudizalmente ostili, ammesso che ve ne siano, è praticamente nulla. I magistrati che fanno parte della famigerata Magistratura Democratica, anche ammesso che siano dei pericolosi sovversivi comunisti che giudicano sulla base di pregiudizio politico, sono uno ogni dieci affiliati all’ANM, ovvero la quasi totalità. Se qualcuno ha una minima familiarità con la statistica basta vedere quanti magistrati entrano nel merito di un processo con tre gradi di giudizio e si faccia il conto di quante probabilità esistono che siano in gran parte membri di MD. E questo, ribadisco, anche ammettendo che la risibile idiozia che essere parte di MD voglia dire essere un facinoroso che giudica per militanza e non per diritto sia reale.
Infine: se il PDL si è impiccato sulla leadership di Berlusconi e non ne riesce a venire fuori, sono affari del PDL. Nel resto del mondo quando leaders importantissimi vengono portati alla sbarra, tipicamente il partito fa una difesa d’ufficio se i fatti sono bagatelle e spera che presto finisca tutto nel dimenticatoio, dopodichè se invece il caso monta, giusto o sbagliato, reale o immaginario, prende le distanze da chi c’e’ finito nel mezzo, perchè partito e istituzioni sono più importanti del singolo.
Ci fu il caso di Helmut Kohl, grande unificatore delle due Germanie, trombato da una giovanissima astro nascente della CDU tedesca, tal Angela Merkel, quando l’ex primo ministro, uno degli uomini politici più importanti del 900 europeo, era nel centro del mirino per alcuni fondi neri della CDU e le sue ommissioni.
Ci fu il caso di Nixon, che provò a difendersi strenuamente dalle accuse di essere coinvolto negli spionaggi del Watergate, iniziò una batatglia frontale con la magistratura, fino a che uno dei senior del suo partito, Goldwater, andò da lui a dirgli “caro Richard, noi siamo certi che tu sei innocente, però stai creando danno al partito e alla Casa Bianca, per cui è il caso ti levi velocemetne dalle balle”. Faccio fatica ad immaginarmi un Goldwater nel PDL.
E potrei citarne molti altri, leaders importantissimi, accusati di ogni cosa, che si sono potuti difendere, portare le proprie questioni in fronte all’opinione pubblica (per esempio le fellazioni di Clinton) e cadere in piedi, oppure cadere e basta. In nessun caso si è messa in discussione la separazione dei poteri e il fatto che un partito e una istituzione sono molto pià importanti della persona che in quel momento è chiamata a rappresentarli.
L’anomalia italiana è anche questo, tanti partiti personali e feudali (escluso il PD, va detto) in cui la sorte del leader incide decisivamente sulla sorte del partito. Se il partito è grandissimo, il botto è conseguente (però pensate a Fini, Di Pietro, Bossi, in certa misura Bertinotti… è morto Sansone e pure tutti i filistei). Nessuno in grado di discutere la leadership o di rappresentare una credibile continuità. Nel PDL l’unica carta che riescono a giocarsi è Marina Berlusconi. Figlia di. Angelino Alfano si è presto rivelato per il bluff che era, un avatar calato dal cielo dal padrone del partito. Del resto per un egoarca è normale circondarsi di personalità deboli per far risplendere ancor di più il proprio ego e la propria indispensabilità. Immaginatevi, se l’autunno scorso ci fossero state le primarie ed avessero eletto Alfano o la Meloni o chissà chi alla guida del PDL, a parte il probabile ancor maggiore tracollo elettorale, oggi delle condanne di Berlusoni non fregherebbe una ceppa a nessuno, salvo giusto a qualche Bondi o Cicchitto. Invece è tornato in gioco, al governo, gaudente (ricordate come era felice) sapendo che avrebbe potuto usare quest’arma di ricatto e portare le sue vicende personali ancora all’attenzione dell’opinione pubblica, cosa che, se fosse stato oppositore o addirttura solo “padre nobile” del partito, non sarebbe importato niente a nessuno.
Invece la crisi di governo è una questione fattuale contingente, con cui dobbiamo tutti fare i conti. Onestamente io spero che il PD, che è maestro nel carcare guai come i dottori, lo lasci rosolare nel suo soffritto, voti come è giusto votare, faccia cadere il governo per mano del PDL e sono certo che alle urne questo qualcosa varrà, molto più che le solite pastoie per “responsabilità”.
Si vota, si elegge un nuovo presidente e si fanno finalmente le riforme, magari senza più l’ingombrante pregiudicato a dettar legge.
In ultimo mi pare che Grillo, senza essere candidato a nessuna istituzione o laticlavio, assieme a Casaleggio, hanno saldamente in mano le redini del movimento che, del resto, senza di loro nemmeno esisterebbe. L’agibilità politica ce l’hanno tutta, al netto di una condanna penale che pure Grillo ebbe in gioventù per un incidente automobilistico.