Considerazione numero uno: quando alla fine della decade berlusconiana, in mano a dilettanti allo sbaraglio, con codazzo di nani e ballerine (per una volta fuor di metafora) arrivarono i cattedratici della Bocconi, quelli che preparano la classe dirigente del domani, ci sentivamo in una botte di ferro. Misure magari draconiane, severe, ma certo fatte col costrutto e la sapienza di chi dedica la propria vita accademica a studiarle. Niente di meno vero, oltre ad essere misure draconiane e severe, furono fatte con il culo, per dirla in francese. Si generarono gli esodati, per dirne una, ma anche le misure di salvaguardia, tipo l’aumento automatico dell’IVA, vennero fatte senza considerare l’effetto depressivo delle misure, al punto che, dopo l’aumento, il gettito IVA diminuì, invece che aumentare, con doppia beffa di deprimere i consumi e non migliorare i conti pubblici.
Una pletora di ignoranti, armati di una considerevole dose di “presumin” e completamente tetragoni a qualunque suggerimento di rivedere le proprie posizioni. Ricordo con un brivido quando Bersani, di fronte alle catastrofi di questi incapaci, disse “l’agenda Monti più qualcosa” (intendendo ovviamente altro rispetto a proseguire sulla linea dei disastri, quanto su quella del rigore) ma fu una doccia scozzese che costò l’ennesima sconfitta elettorale.
Considerazione numero due: la mancata rivalutazione delle pensioni sopra i 1400 euro significa pochi spiccioli per chi prende poco e qualche foglio da 100 per chi prende molto. La progressività di questa misura c’e’, checché ne dica la Consulta, magari preoccupata del fatto che quelli che ci rimettono i fogli da 100 sono i pensionati d’oro, come per esempio i giudici costituzionali.
Considerazione numero tre: le pensioni non sono un investimento finanziario ma una elargizione sociale. Non per niente i pensionati non ricevono indietro quel che hanno versato rivalutato agli interessi, ma una cifra che corrisponde ad una percentuale del loro ultimo salario. Questo non sarà più possibile per la nostra generazione, che invece prenderà quel che ha versato (cioè molto poco) e parecchio avanti nell’età (il sito dell’INPS, in cui è possibile fare simulazioni, mi dice che andrò in pensione nel 2044 all’età di anni 70 con il 59% del mio ultimo stipendio, che ipotizza nella simulazione parecchio più alto rispetto all’attuale). Quindi il fatto che lo Stato, così come elargisce, decida unilateralmente di tagliare, può essere infelice nella scelta della soglia (magari 1400 euro lordi al mese sono un po’ poco) ma difficilmente incostituzionale. Quindi, senza avere le competenze giuridiche per stabilire i confini della sentenza, la ritengo insensata e ingiusta, pur non condividendo nel merito una soglia così bassa per la mancata rivalutazione, visto che si parla di anziani che camminano sul filo della povertà, non certo di ricchi agiati che passano l’estate a Forte dei Marmi a giocare a burraco. Le motivazioni poi sono ridicole, ovvero che non sarebbe stato indicato cosa lo Stato ne faccia di quel taglio. Risparmia quattrini, visto che la prima voce in uscita della nostra spesa pubblica sono proprio le pensioni, quasi 300 miliardi su 800 totali. Oppure che il taglio non rispetta criteri di progressività, cosa che potrebbe smentire un bimbo di terza elementare che abbia imparato il concetto di percentuale. Se io rivaluto una pensione *in percentuale* per adeguarla all’inflazione, l’adeguamento sarà più basso per chi prende poco e più alto per chi prende molto, che è una definizione quasi accademica di proporzionalità. Ma magari i giudici della Consulta si sono laureati alla Bocconi. Se quelli sono i professori, figurarsi gli studenti.