Mia madre era una donna terribilmente impaziente. Faceva tutto di corsa, non aveva pace fino a che un lavoro non era finito. Il che aveva due facce: da un lato era un vulcano di energia in perpetua eruzione, dall’altro spesso le cose che faceva erano un po’ approssimative (salvo forse il lavoro all’uncinetto, dove la fretta notoriamente è cattiva consigliera).
Pur essendo una cuoca sopraffina, in virtù di questa sua compulsione da risultato, quando cucinava, le preparazioni venivano accorciate e compresse all’inverosimile, a volte con risultati piuttosto divertenti. Per esempio quando faceva i ravioli era quasi impossibile mangiarne uno con un boccone, perché erano grandi come mattonelle. E lo stesso valeva per i biscotti, che si sarebbero potuti mangiare a fette. Con mio fratello scherzavamo sempre su questa sua peculiarità e la prendevamo molto in giro. Anche lei ci rideva su, dicendo che era una campagnola un po’ ruvida e che i biscottini e i raviolini erano raffinatezze a cui lei era poco incline.
Venerdì scorso mio figlio maggiore ha terminato la scuola materna, con una divertente cerimonia di “diploma” all’americana, i bimbi dell’ultimo anno venivano chiamati a uno a uno per una foto con le maestre e veniva messo loro in testa un tipico “mortarboard” fatto di cartoncino bristol nero.
La cosa che accomuna queste due cose è che i miei figli non potranno prendere in giro la nonna perché fa i biscotti giganteschi e mia madre non si è potuta commuovere vedendo suo nipote che spicca il volo verso la vita, così come non potrà commuoversi al suo primo giorno di scuola, o dargli una moneta quando perderà il primo dente.
Sono passati (esattamente) due anni, ma il dolore quello fatica a passare.