Domenica, come molte altre domeniche prima, e come molte altre domeniche, spero, in futuro, sono andato nella nostra casetta di famiglia in campagna, dove da sempre si trascorre in villeggiatura l’estate. Naturalmente ora che ho la mia famiglia e sono in un’altra casa, oltre agli impegni di lavoro, questo per me non vale più. Vado su solo la domenica o in qualche ricorrenza.
Anche questo della domenica ormai era, ed è, un rito consolidato, uguale a se stesso tante e tante volte, al punto da confondere nella memoria tutto in un’unica lunga domenica sempre uguale, nella quale parcheggiata la macchina si percorreva la creuza che porta giù a casa, facendo un pezzetto di vialetto che passa davanti alla cucina.
Dentro la cucina c’era sempre mia madre, che stava appunto preparando il pranzo della festa, che appena ci vedeva passare interrompeva il suo spignattare per venire a salutare i suoi “balin d’ou” (palline d’oro), ovvero i miei figli.
A quel punto io subentravo ai fornelli e lei si dedicava a passare un po’ di tempo con i nipoti, sebbene la pazienza di stare coi bimbi non fosse esattamente in cima alla lista delle sue virtù.
E’ difficile descrivere la sensazione, nera come l’inchiostro, che mi avvolge il cuore, ogni volta che percorro quel vialetto la domenica, dal momento in cui aprendo il vecchio cancello, realizzo che non sentirò la sua voce e non sentirò l’inconfondibile profumo di prelibatezze che si sparge per il cortile.
Tutti noi siamo mortali e come tali dobbiamo abituarci all’idea della nostra fine, che prima o poi arriverà. Così come quella dei nostri cari, dei nostri amici, in alcuni casi, in base all’età, possiamo sperare di andarcene prima e risparmiarci il dolore della loro dipartita. Eppure per quanti sforzi facciamo nessuno arriva pronto alla propria morte, ne alla morte, se pur preventivabile, dei propri cari. Se poi questa morte giunge improvvisa e prematura, la nostra vita cambia all’improvviso, per sempre, inesorabilmente. E non c’e’ un modo per descrivere come ci si sente, ne probabilmente è uguale per tutti.
Io per esempio per un certo periodo avevo solo ricordi brutti della mamma. Le nostre proverbiali liti al calor bianco, le incomprensioni e le tante volte in cui il sentimento prevalente nei suoi rigardi era la rabbia o il rancore. Immagino che in un certo modo il mio cervello volesse proteggersi dal dolore e, come fa coi globuli bianchi quando ci si taglia, provava coi brutti ricordi a lenire la cicatrice del distacco. Poi è subentrato un periodo di quasi rimozione, non era più nei miei pensieri, non più di tanto, se non quando era inevitabile occuparsene. Ora che un po’ di tempo è passato invece riaffiora, in tante piccole cose, in un lungo stillicidio di ricordi che provocano quella sensazione inafferrabile per cui si prova simultaneamente la voglia di ridere, per la piacevolezza del ricordo, e di piangere, per la nostalgia.
In assoluto la cosa che m fa più male è pensare che non vedrà il matrimonio di mio fratello, non conoscerà i suoi figli, ne i miei, se ne farò altri. Che non vedrà i nostri bambini diventare grandi e i suoi figli diventare vecchi. E i miei figli vivranno con una persona in meno a cui avrebbero voluto bene da morire e che li avrebbe più che ricambiati. E tutto questo bene, questo amore, semplicemente non sarà, andrà disperso, come le lacrime che cadono sul freddo marmo e sui fiorellini che tanto le piacevano e che ora le fanno da cuscino nell’ultimo, interminabile, sonno.
hai espresso in queste poche parole quello che sento dentro di me da 11 anni.. grazie!