Come prima cosa vorrei stigmaizzare con tutte le mie forze tutti i giornalisti e simili che in questi ultimi giorni ci hanno ammorbato con titoli tipo: “battiQuorum” “un colpo al Quorum” “questioni di Quorum” [ad libitum].
Ora veniamo al nocciolo del mio post ( per non dire “al quorum” 😛 ).
Io trovo che giocarsi la partita del Referendum sommando il proprio voto agli astenuti e a quelli che per svariate ragioni non possono votare sia una vigliaccata, una autentica porcheria. Però capisco la logica macchiavellica di chi lo propone. Piuttosto che perdere è meglio vincere, anche abbandonando il fair play. Quello invece che proprio non capisco sono tutti quei cittadini, anche elettori di area affine ai bocottatori dei vari referendum, che si prestano a questa scelleratezza. Capitò anche quando Ruini e la CEI in blocco si spesero sulla legge 40 non, come pienamente nel loro diritto, per una battaglia pulita e onesta sul “no”, ma invitando apertis verbis a far saltare il banco.
Per spiegare quanto trovi questo assurdo e in qualche modo oltraggioso, vorrei raccontarvi un piccolo aneddoto della mia vita. Ringraziando il Cielo io vengo da una famiglia normalmente benestante, con un tenore di vita decisamente buono, di quelle a cui non solo non manca nulla del necessario, ma che hanno anche un bel po’ di superfluo. Nonostante questo una delle regole ferree e auree in casa mia è sempre stata quella che il cibo non si spreca. La mia famiglia ha sempre avuto una casa nell’entroterra di Genova, con po’ di orto e un po’ di frutta. In stagione di orto e di frutta si è sempre mangiato quello che ci dava (e che per fortuna ci da) la terra. A ciascuno di noi è sempre stato consentito avere qualche pietanza sgradita che si poteva omettere dal menù ed avere una deroga (per me i finocchi, mio fratello i funghi, mio padre il coniglio) ma non più di questo. Quello che c’e’ in tavola si mangia. E basta. E questo perchè i miei genitori e ancora di più i mieni nonni hanno invece vissuto in anni in cui il cibo era prezioso e nessun lusso era ammesso. Mio nonno paterno, classe 1919, che ricorda esattamente la crisi del ’29, mi disse che per lui non cambiò una virgola. Si mangiava di quello che dava la terra e gli animali di casa, prima della crisi e dopo la crisi.
Pur non avndo vissuto questa fame, il loro ricordo nitido e l’educazione che mi è stata impartita nel rispetto di questo lusso di cui godo ora e che tendiamo un po’ a dare per scontato, mi ha fatto apprezzare questo modo di rapportarmi al cibo e al consumo in generale, con il doveroso rispetto e la gratitudine per potermi permettere di scegliere cosa e quanto mangiare.
Con lo stesso atteggiamento, mi è stato insegnato che siccome il diritto di votare, di scegliere chi mi rappresenta e di esprimere la mia opinione è costato sangue e fame e dolore e frustrazione a tanti e tanti come, appunto, mio nonno, per lo stesso tipo di rispetto che si deve a questo privilegio che ci è stato reso, di essere persone libere e che possono decidere del proprio destino, considero il non andare a votare ed esprimere il proprio parere quando ci è concesso di farlo esattamente come buttare nella spazzatura del cibo commestibile.
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