Stamattina sono andato al funerale della moglie di un collega. Entrambi sono (era) più o meno coetanei. Hanno figli più o meno coteanei dei nostri. Lui è straniero, vietnamita. Lavora con noi da tanti anni (più di me) e parla un ottimo italiano, anche se con uno stranissimo modo di pronunciare le parole, che non è che sia strettamente sbagliato, ma ha quel je ne sai quoi che ti fa capire immediatamente che è straniero (nel senso, è chiaro che un uomo asiatico ha l’aspetto da uomo asiatico, ma ci sono dei ragazzini cinesi di seconda generazione che hanno un accento genovese che nemmeno i camalli in porto).
Lui lo conosco e lo frequento poco, lei per nulla. La incontrai per caso vicino a casa dei miei nonni, dove abitavano. Quattro parole, giusto avendo dei bimbi poco distanti di età.
Nonostante quindi si parli di conoscenze poco più che superificiali, l’ora della funzione è stata interminabile e ha gravato come una coltre di tristezza sulla mia giornata fino ad ora.
Ho visto negli occhi gonfi di questo marito e padre disperato, trasfigurato dal dolore, una sofferenza indicibile, inestinguibile, insanabile. Come spesso capita ho provato ad immedesimarmi nel suo dolore ma è un pensiero nel quale il cervello rifiuta di farsi trascinare. E’ un po’ come provare a spingere un claustrofobico in cantina.
Ho pensato a quali parole a quale sforzo dovrà fare per cercare di soffocare il proprio dolore e non riversarlo sui figli. Che a loro volta non sentiranno parole, ragioni, spiegazioni e vorranno indietro la propria madre. E quindi dovrà sommare l’immane dolore della perdita all’immane dolore di non avere strumenti per consolare i propri figli.
E’ difficile racchiudere con la razionalità il mistero della morte. Ammalarsi, avere incidenti, invecchiare… fa tutto parte della vita. Anche la morte è una conseguenza della vita, non potremmo morire se non fossimo stati vivi. Ma certo quella smorfia di impotenza, quegli occhi che ricercavano da qualche parte una consolazione che non avrebbero potuto trovare da nessuna parte, per molto tempo ancora affolleranno i miei pensieri.
Io sono un uomo fortunato, so di esserlo. Se credessi in Dio lo ringrazierei ogni mattina di questa fortuna che ho. E a volte capitano cose che, se mai me ne dimenticassi, me lo ricordano in modo brutale. Delle volte ci crucciamo e ci arrabbiamo per delle facezie. Ma basterebbero pochi secondi di quella raggelante apnea emotiva di qualcuno che sta affogando nella sofferenza sapendo che non esistono salvagenti.