Google finisce in Tribunale per i guai dell’algoritmo
«Oscurato il sito Unilibro». Secondo i legali della libreria omessi il 50% dei risultati
via Google finisce in Tribunale per i guai dell’algoritmo – Corriere.it.
Ora io non conosco i dettagli della vicenda e come quasi sempre in questi casi sarebbe meglio astenersi dal commentare, però una cosa la voglio dire.
Su Internet, o per meglio dire sul web, relativamente alla ricerca di informazioni online, ci sono state tre ere geologiche.
La prima: senza motori di ricerca, esistevano i cosiddetti “portali” ovvero luoghi dove sulla base di una certa categorizzazione venivano aggregati links di una certa pertinenza. Era l’epoca in cui quando si trovava qualcosa di veramente fico si doveva fare un “bookmark” e l’organizzazione dei bookmark era un’arte sublime che richiedeva anche una certa dose di collezionismo maniacale.
La seconda: coi motori di ricerca. E’ partito col botto Yahoo! in particolare ma poi sono cresciuti tanti altri, da Altavista a Lycos spartendosi più o meno equamente il mercato. Partivano però dal presupposto che fosse il sito a volersi far cercare e si “fidavano di lui”. Titolo, tag, metatag. Essere in cima alle graduatorie nelle ricerche su determinate parole era un lavoro (Search Engine Optimization) e resistevano comunque i bookmarks, perchè queste classifiche di risultato erano piuttosto fluide a seconda di quanta forza avesse il ricercato di risalire la china.
La terza: l’avvento di Google. Google ha sparigliato la concorrenza degli altri motori di ricerca, lasciando loro le briciole, perchè ha rovesciato la prospettiva. Anzichè essere un sito a decidere per cosa farsi cercare era l’utente (ovvero il resto della rete) a decidere per quale argomento fosse interessante un determinato sito. Naturalmente il criterio con cui si categorizza un sito sulla base delle parole che si ricercano è la “federal reserve” di chi produce un motore di ricerca. Per un certo periodo fu in voga il cosiddetto google bombing, ovvero creare dei siti fake con dentro tantissimi anchor tags (<a href=”ilsitochevogliopomparesuguggol”>laparoladacercare</a>) che fino alle contromisure di Mountain View produsse una certa aberrazione dei risultati.
Quindi, in sintesi, i signori di questa società che si lagnano e i giudici che raccolgono le loro doglianze, sappiano che Google è diventata il colosso che è e ha la reputzione che ha proprio grazie a questo fatto, cioè ignorare cosa dice un sito di se stesso e (tentare di) badare a cosa ne dice il resto del mondo.