Quando ti muore una persona cara ci sono varie cose che succedono, non ho idea se questo valga per tutti o se valga per tutti nella stessa misura, ma presumo che sia così. Una delle cose che accadono più spesso che nel mezzo del nulla, mentre stai faccendo tutt’altro, ti venga alla mente un ricordo, un anedoto o ci sia qualcosa che ti fa pensare a lei. Sabato, per dire, eravamo in piscina coi bimbi, che ovviamente sprizzavano felicità ed energia da ogni poro, e noi dietro a loro stanchi morti ma felici. Ad un certo punto mi è sovvenuto che in giornate come questa una delle nostre preoccupazioni sarebbe stata quella di rendicontare alla nonna la cronaca della giornata via sms, quando si parte, quando si arriva, come vanno le cose. E potrei elencare mille altre circostanze in cui mi viene in mente qualcosa da dire a mia madre, qualche cosa che mi piacerebbe mostrarle, qualche piccola stupidaggine che fanno i bambini e che notano giusto i genitori, ma che mandano i nonni i brodo di giuggiole.
In questi momenti è come se ti versassero del nero gelido inchiostro sul cuore, il calore dell’allegria e della felicità si spegne, come se qualcuno tirasse un secchio d’acqua sul camino che sta scaldando la stanza e sta rallegrando l’atmosfera col suo scoppiettante fuocherello.
In più, visto che probabilmente questa cosa capita a tutti gli altri, ti capita di vedere questo cupo e freddo velo di nebbia che trasfigura i volti delle persone a cui vuoi bene e che vengono trafitti da un qualche ricordo che li ammutolisce, che mette nei loro volti il dolore, l’amarezza o la disperazione. Mi è capitato di vedere mia zia, sorella della mamma, chiamare sua figlia col nome di mia madre. Un errore che avrà fatto mille e mille volte, ma che domenica si è trasformato in una fitta allo stomaco, in una medicina troppo amara da ingoiare e il suo volto sembrava quello di chi è stato trafitto da una lama rovente.
E poi mio padre che prova a cimentarsi nello stiro e mio fratello che cerca di mettergli in tavola dei pasti commestibili, con la lodevole intenzione di mandare le cose avanti il meglio che si può.
A volte poi invece capita che pensi a tutt’altro, che ila tua mente si sgombera da pensieri tenebrosi e tristi, penso che sia un meccanismo di difesa del cervello che dirotta i pensieri lontani dal dolore per ritrovare un po’ di benessere. Sei improvvisamente quello di prima e, se ti capita di pensare a quel che è capitato, è tutto avvolto da una melassa opaca, ti sembra che tu stia sognando, che non sia per davvero la vita, che non sia successo, che sia tutto troppo surreale. Come guardare la vita attraverso la carta unta del prosciutto. Improvvisamente poi questo passa, quasi di colpo, come quando si sale o scende repentinamente in altura (magari con la funivia o l’aereo) che pian piano ti si tappano le orecchie e senti tutto ovattato. D’improvviso “plup” le orecchie si stappano e senti tutto come prima, magari stupendoti di quanto ti si fosse abbassato l’udito senza che te ne fossi accorto.
E la cosa più fastidiosa di questo è che vieni pervaso da una sorta di senso di colpa, perchè in qualche modo ti sei sottratto al dolore che invece ti dovresti infliggere senza sosta. Cosa è questa inutile spensieratezza?
Insomma, come previsto, passati i momenti del trauma, delle burocrazie, delle esequie, è arrivata la dolorosa routine da ricostruire, costellata di punture di spillo di malinconia e amarezza.
E i passaggi dolorosi ancora non sono finiti. Dovremo trovare qualcosa da fare coi vestiti di mia mamma, le sue gioie, le sue cose più care. Toglierle dagli armadi, metterle in delle valigie, anche se non faranno mai nessun viaggio.
La vita certe volte sa davvero essere ingiusta.
Un abbraccio, Guido.
Daniele