Molti probabilmente non lo sanno ma “levantino” in italiano è sinonimo di furbacchione, di persona scaltra e spregiudicata, istrionica, e l’etimologia di questo modo di dire deriva dall’epopea commerciale del Mediterraneo, quando c’erano le Repubbliche Marinare e il commercio era la spina dorsale dell’economia di casa mia. I commercianti dell’est erano considerati scaltri e pessimi clienti in caso di dispute commerciali, probabilmente per una loro attitudine culturale al negoziato (in italiano il negoziato feroce viene indicato metaforicamente col termine “suq” i centri di scambio commerciale o mercati del medio oriente, per cui Damasco e Aleppo erano famose e si spera lo torneranno presto).
Certo la rossa Ilda poteva risparmiarsi uno scivolone e il susseguente inevitabile codazzo di polemiche. E altrettanto è vero che io per primo, se l’avesse detto un leghista o qualcuno di quel rango, l’avrei sottolineato in blu. Però se nel suo modo di dire il “furbo levantino” è il “commerciante di un suq arabo”, furbo e scaltro e capace di arrivare al proprio obbiettivo con ogni stratagemma, l’espressione in se non è ne sbagliata ne razzista, ma solo figlia della nostra cultura più profonda.
Ripeto: avrebbe fatto meglio a risparmiarsela. E se l’avesse detto qualcun altro con vaghe inclinazioni di razzismo o pregiudizio la mia disamina sarebbe stata certo meno indulgente.
Ciò detto levantino in italiano vuol dire levantino. E il soggetto di questa descrizione calza la descrizione di un astuto venditore (in questo caso di se stessa) che non molla il cliente fino a che non ha piazzato la merce.