Arrigo Sacchi, uno dei più importanti allenatori di calcio della storia di questo sport, è andato a vedere la Coppa Carnevale di Viareggio, forse il più importante torneo giovanile per club del Mondo. Per lo meno lo è stato negli anni passati, oggi sta perdendo un po’ del suo appeal per l’inadeguatezza delle infrastrutture e dei campi che lo ospitano e la sempre maggiore quota di rinunce e defezioni di squadre importanti. Questo premesso resta pur sempre un torneo di altissimo livello internazionale e una vetrina importantissima per aspiranti professionsti della pedata. Per le squadre che partecipano la sua vittoria è paragonabile a quella del campionato “Primavera” o “Under 21” come si chiama altrove.
Quindi Sacchi, vedendo questo torneo, si è detto scandalizzato dalla quantità di giocatori stranieri che ci sono nelle squadre, in particolare di quelli “neri”. E’ stato indubbiamente uno scivolone, perché è più che probabile che alcuni di quei giocatori neri, tipo i più grandi Balotelli, Okaka, Ogbonna e altri, siano perfettamente italiani e convocabili per le nostre nazionali. Ma di fondo c’e’ una ragione. Le squadre giovanili ingaggiano intere nidiate di giocatori africani perchè costano quattro soldi e perchè per caratteristiche fisiche sono più velocemente inseribili nelle squadre dei più grandi. In più c’e’ un “non detto” del calcio che, essendo spesso l’anagrafe dei paesi d’origine un po’ aleatorio, è facile che questi ragazzi abbiano un paio d’anni in più di quel che risulta sui documenti, che a 15 anni fa la differenza eccome. E questa scelta svilisce i nostri vivai nella loro funzione più autentica, ovvero formare e affinare dei giovani talenti per farli diventare dei campioni. Il che naturalmente presuppone una serie di capacità e di difficoltà del tutto peculiari. Un calciatore deve essere forte tecnicamente (quindi saper tenere la palla fra i piedi), tatticamente (quindi sapere che movimenti fare in campo quando si attacca e quando si difende), caratterialmente (quindi non farsela nelle mutande se deve calciare un rigore davanti a 30 mila persone), moralmente (quindi evitare stravizi, nottate brave, donne di dubbia moralità) e disciplinarmente (rispettare le regole dello spogliatoio, allenarsi con costanza e dedizione, rispettare le gerarchie di squadra e società). Una parte di queste cose le si insegnano appunto nei vivai e la presenza di ragazzi che provengono da culture molto distanti e che si trovano ad essere soli e lontani da casa in giovanissima età spesso non aiuta la formazione del carattere soprattutto per le parti disciplinari ed etiche. In più la difficolà di inserimento culturale e linguistico è un problema già per dei giovani immigrati con la famiglia, figurarsi per questi ragazzi che dormono nei convitti delle scuole private.
Quindi quello che ha detto Sacchi, al di la dello scivolone sul colore della pelle che di per se non è indicatore del fatto che si tratti di ragazzi africani o sudamericani presi al mercato delle vacche dei procuratori calcistici, di fondo è un discorso sacrosanto e fatto da uno che conosce il calcio da dentro e da tanti anni.
In un vivaio ci vogliono ragazzini italiani in gran parte e in minima parte ragazzi stranieri, possibilmente provenienti da culture non troppo distanti dalla nostra e sperabilmente con appresso la famiglia. Le società di calcio, nel caso in cui decidano di far ricorso a massicce dosi di stranieri anche nei settori giovanili, dovrebbero farsi carico di rendere il loro inserimento culturale e sociale il più morbido e graduale possibile, perchè non bisogna dimenticare che si parla pur sempre di giovani esseri umani spaesati e forestieri.