Il procuratore generale accusa: “Il processo ha evidenziato una propensione dell'imputato a inquinare le prove”. Nino Gatto affronta il capitolo della requisitoria riguardante i rapporti che Marcello Dell'Utri avrebbe intrattenuto con un falso pentito, Cosimo Cirfeta: “Tramite l'avvocato difensore di Cirfeta, Dell'Utri ha promesso soldi e un lavoro. In cambio, chiedeva delle dichiarazioni che avrebbero dovuto scagionarlo”. Secondo il procuratore generale, nel complotto del falso pentito avrebbe avuto un ruolo anche “l’agente Betulla, ovvero il giornalista Renato Farina – spiega Nino Gatto – che è stato giudicato in altra sede per aver aiutato alcuni agenti segreti ad eludere le investigazioni nei loro confronti, nell'ambito delle indagini sul rapimento di Abu Omar”. In aula, il procuratore legge il capo d'imputazione riguardante Farina, coinvolto nelle azioni di spionaggio organizzate dall’ex agente del Sismi Pio Pompa, fra Roma e Milano.
“Questa vicenda – dice Nino Gatto – ci dice dei mezzi istituizionali di cui l’imputato si è servito per deviare le indagini”.
Mentre il pg parla del caso Farina, Dell’Utri esce dall’aula della corte d’appello e fa una dichiarazione ai giornalisti che lo raggiungono: “Se mi lasciano in pace, se mi assolvono sono disposto a lasciare tutte le cariche politiche, non mi interessa fare politica. Io faccio il senatore per difendermi dal processo. Io mi difendo dall’attacco politico perché il mio è un processo politico, per questo faccio politica. Sì, vi sembra strano? – ribadisce – Sono entrata in politica per difendermi”.
via “Dell’Utri il tramite della mafia” Il pm chiede 11 anni di carcere – Palermo – Repubblica.it.
In estrema sintesi: uno dei consiglieri e fondatori dell’impero economico del Presidente del Consiglio, oltre ad essere un pregiudicato, è accusato di avere intrattenuto rapporti con Cosa Nostra. E’ acclarato fra l’altro che fece incontrare e poi ospitare da Berlusconi un mafioso nel finto ruolo di stalliere. Secondo la tesi buonista per scongiurare l’evenienza di sequestri ai figli di Berlusconi e Berlusconi stesso (in effetti in quegli anni essere miliardari era pericolosetto). In quella più cattiva per controllare uno degli investimenti della mafia nelle aziende del nord Italia (di cui parlano sia Ciancimino jr. che Spatuzza). Occorre ricordare che la banca Rasini, dove lavorava il padre di Berlusconi e che fu il primo istituto finanziatore di Berlusconi stesso, fu chiusa in una operazione antiriciclaggio (operazione S.Valentino) dopo le dichiarazioni di Michele Sindona. Sindona che era legato alla banca Rasini dopo l’aquisizione delle quote di una società a Nassau di cui fu (oltre a Gelli, Calvi e Marcinkus) consigliere di amministrazione. E che è legato a Berlusconi per un’altra singolare coincidenza, quella di essere stato affiliato alla loggia massonica segreta P2 (mentre Licio Gelli ne era proprio il capo e fondatore). In ogni caso, se qualcuno ha accesso ad un buon archivio, tutte queste cose sono spiegate con estremo dettaglio praticamente in ogni numero della Padania di metà anni ’90.
Marcello Dell’Utri, indicato da Ciancimino (fra gli altri) tramite fra Cosa Nostra e il nascente potere politico della Seconda Repubblica, viene accusato per altro di aver organizzato finte dichiarazioni di pentiti (che essendo false gli avrebbero fatto gioco e avrebbero corroborato le tesi difensive del complotto) oltre all’aiuto di un giornalista Renato Farina, radiato dall’ordine per aver diffuso notizie false con lo scopo di favorire i Servizi Segreti di cui era membro organico col nome di Betulla, ruolo nel quale aiutava (second l’accusa di altro processo) un altro agente dei servizi tale Pio Pompa, a realizzare un archivio in via Nazionale con dei dossier sui nemici di Berlusconi, compresi uomini politici importanti.
Per una buffa coincidenza questo Renato Farina, oltre ad aiutare Dell’Utri, lavora per Il GIornale il cui proprietario è anche il Presidente del Consiglio, nonchè capo del partito dell’ammore, che, sempre per una buffa coincidenza, ha sparato ad alzo zero contro il direttore di Avvenire Dino Boffo, attraverso l’uso di un dossier (per altro falso) di sconosciuta provenienza.
E tutto questo mentre il Capo del partito dell’ammore vinceva a mani basse un’elezione dopo l’altra, ventilando gravi pericoli per la democrazia se avessero vinto i comunisti.