Dopo la decisione del Colorado di rendere legale il commercio della marjiuana (ho scoperto che negli USA l’hashish non sanno praticamente cosa sia) negli Stati Uniti si è aperto un pubblico dibattito, patrocinato dall’autorevolissimo New York Times, sull’evenienza di estendere questa possibilità all’intera nazione.
Io sono nettamente antiproibizionista, e non solo per quanto riguarda le droghe “leggere”. (visto che qui in Italia qualche ignorante mentecatto disse che le droghe sono droghe e non se ne possono definire alcune “leggere” rimando alla tabella realizzata da The Lancet)
Partiamo da un assunto: in nessun posto del mondo il fatto che una cosa sia o meno vietata dalla legge scoraggia o incoraggia la sua pratica (perfino in quei posti dove gli adùlteri finiscono impiccati alle gru ci sono gli adultèri). L’idea che i treni debbano arrivare in orario per legge è antica come il codice Hammurabi. Il vecchio e saggio Tacito soleva dire: corruptissima re publica plurimae leges. Più una nazione è corrotta, più sono le leggi che la regolano. Ma questo è un altro capitolo. Guardiamo invece i fatti: in svariati posti del monto consumare e vendere stupefacente è legale eppure non si registra nessun incremento e nessuna variazione statistica sui consumi di droga rispetto agli altri paesi in cui questo non avviene. In Olanda consumare legalmente hashish e marijuana è una cosa che avviene da lustri, eppure gli olandesi sono una civilissima nazione progredita e molto in anticipo sui costumi che arriveranno (basti pensare all’eutanasia o al matrimonio omosessuale) in cui tutti i parametri sul benessere individuale e l’autodeterminazione sono ai massimi mondiali.
Guardiamo un altro aspetto: la comparazione con altre cose che invece sono perfettamente legali, come l’uso di alcool. Il vino e gli alcolici in genere sono una parte fondante della nostra cultura, non c’e’ niente da fare. Mio nonno andava al mattino a lavorare nei campi col suo fiasco di vino e a metà mattina si beveva un bicchiere. Per i contadini della sua generazione il vino era una fonte preziosissima di calorie facilmente conservabili. In tanti anni non ricordo di averlo mai visto ubriaco o anche leggermente alticcio, per lui era di fatto solo un nutrimento. Lo stesso valga per la birra in nord Europa. Quando mi capita di andare a trovare i colleghi tedeschi in casa madre e la sera si esce e la birra scorre a fiumi, anche se sono in compagnia di attempati e serissimi manager padri di famiglia. Per loro la serata in birreria è una specie di messa laica, con le sue indefettibili liturgie.
Eppure l’alcool è un veleno mortale, aggredisce il fegato e lo costringe ad un superlavoro per essere smaltito. Il suo uso assiduo oltre che problemi di peso e cardiovascolari, può produrre danni epatici irreversibili. Inoltre abusarne è facile, chiunque di noi può entrare in un bar e, in modo perfettamente legale, bere tanto da uscirne in una cassa di legno. E pensate poi ai risvolti sociali: padri violenti, madri che trascurano figli e lavoro, famiglie rovinate…
Se effettivamente la collettività avesse a cuore le sorti dei suoi concittadini e la loro salute, come sbandierano i fautori del proibizionismo per le droghe, bisognerebbe quindi proibire anche gli alcolici. Non c’e’ via di scampo. Vino, birra, acqueviti e distillati sono venfici e dannosi. Per non parlare degli stati di alterazione che procurano a chi guida o fa mestieri in cui è richiesta concentrazione assoluta.
Naturalmente nessuno si sogna nemmeno di proporlo. Pensate un po’ se qualcuno avrebbe potuto dire a mio nonno, dopo decine di anni, che non avrebbe più potuto portarsi al lavoro nei campi il suo fiasco di vino religiosamente autoprodotto. O se qualcuno potrebbe dire ad un tedesco o belga o inglese che non si può più bere legalmente la birra. Scoppierebbe una rivolta che quella del te a Boston sembrerebbe in confronto la marcia del sale.
Quindi alla fine l’ostracismo verso le droghe, leggere o pesanti che siano, si riduce ad una mera questione culturale. L’acool non si può proibire nonostante sia molto più pericoloso di tante droghe che non si possono vendere e consumare liberamente.
Poi non bisogna trascurare un altro aspetto pragmatico della questione: quanto denaro introitano le organizzazioni criminali dall’organizzazione del commercio della droga e quanto invece costa allo Stato reprimerlo. Quanta popolazione carceraria è dentro per reati legati agli stupfacenti. Quanti poliziotti lavorano ( e si feriscono e muoiono ) per contrastare il narcotraffico. Quanti processi si celebrano. I radicali in una delle loro campagne avevano calcolato (secondo me per difetto) che solo con la depenalizzazione delle droghe leggere lo stato avrebbe risparmiato 2 miliardi di euro. L’effetto collaterale? Praticamente nullo. Nessuno di quelli che oggi usa o non usa le sostanze di cui sopra basa la propria decisione di farlo o non farlo sulla considerazione che sia o meno legale. Tutti i miei 25 lettori conosceranno di persona uno o più consumatori abituali di sostanze stupefacenti e potranno constatarlo di persona.
Naturalmente non mi nascondo dietro ad un dito: la droga è una piaga sociale, grave e acuta. Genera persone infelici, depresse, dipendenti croniche, lavoratori sottoproduttivi, cattivi padri, cattivi mariti, cattive madri e cattive mogli. Figli violenti o sfaccendati. Tutte cose che, di nuovo, molti di noi conoscono di prima mano. Il punto è: si può affrontare questa piaga con la repressione? Ha prodotto risultati utili? Ha impedito a solo uno di questi cattivi padri o cattivi figli di cadere nella rete della droga? Inoltre, da padre, premesso che sarei più contento se i miei figli si fumassero uno spinello di tanto in tanto piuttosto che sapere che bevono come caimani tutte le sere, come mi capita di notare in molti ragazzini uscendo la sera, sarei ben più contento di sapere che se vogliono fumarsi una canna se la vanno a comprare da un tabacchino, piuttosto che da un pusher in qualche buio giardinetto. Le chine pericolose iniziano dai primi scalini. Pensate un po’ ai vostri figli che per bersi una birra devono andare in qualche buio antro di nascosto, come capitava negli USA ai tempi del proibizionismo.
Per di più se la droga fosse legale potrebbe essere severamente regolamentata e sostenere con il gettito fiscale delle politiche di dissuasione, informazione e consumo consapevole, per non parlare dei costi del sistema sanitario per i casi più acuti. E pensate a che colpo ferale sarebbe per le organizzazioni criminali.
Infine una considerazione di carattere filosofico. Io credo che le persone in una democrazia libera debbano stare come vogliono stare e debbano fare quello che vogliono fare. E’ chiaro che stare in una società significa restituire alla collettività un po’ di quel che si è ricevuto. La collettività fornisce protezione, educazione, cure, infrastrutture… cose che costano e alle quali bisogna contribuire. Drogarsi (ma anche bere o rovinarsi al gioco o nei bordelli….) è una scelta che riduce la propria capacità di contribuire alla società di cui si è parte, per cui è ragionevole e comprensibile che la società cerchi con la legge di arginare i comportamenti che la danneggiano, compresi i suoi singoli appartenenti che si autoescludono dalla partecipazione sociale. Credo anche però che la repressione o l’ostacolo di questi comprtamenti non solo non produca nessun risultato apprezzabile, ma anzi tenda a radicalizzare le posizioni. Per altro ci sono stati fior di artisti che, anche grazie allo stimolo che gli è venuto dalle proprie alterazioni artificiali, hanno prodotto opere che sono un patrimonio della cultura collettiva, quindi non è nemmeno così scontato che la droga disperda il talento e ci renda inservibili al bene comune. Inoltre credo sia pericoloso che sia la società a stabilre dentro quali binari sia corretto stare per essere “buoni cittadini”. Le leggi debbono servire a regolare la nostra convivenza, a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma nel limite di non produrre danni ai singoli. Di non recare danno a terzi. Recare danno a se stessi non penso possa essere, in senso lato, qualcosa di contemplato dalle leggi.
Anche vietare l’eutanasia o il suicidio assistito è su questa falsa riga, e per estensione anche proibire i matrimoni omosessuali, perchè non possono produrre “figli per la Patria”. E questa strada diventa sempre più ripida e scoscesa fra le esigenze della collettività e il diritto dei singoli di autodeterminarsi, anche nell’autodistruzione.