Ora non nascondiamoci dietro ad un dito, la battaglia che si sta consumando attorno alla candidatura di Tavecchio alla FIGC è di natura politica ed economica e va ben oltre le ipocrisie che circondano le solite indignazioni di rito di fronte ad una gaffe politicamente scorretta.
Questo premesso la questione di fondo è un’altra. Se anche l’uscita davvero infelice sugli africani e le banane fosse una voce dal sen fuggita, vuole comunque dire che siamo di fronte a qualcuno che negli angoli reconditi del suo pensiero non riesce ad andare oltre lo stereotipo del povero negro che, se non gioca a pallone o eccelle in quache disciplina sportiva, mangia le banane. Praticamente quello che pensavano i latifondisti contonieri degli stati del sud nei nascenti USA a fine ‘700. Bestie da soma e mezze scimmie, buone per il carico e la fatica.
Per un movimento calcistico agonizzante e malato, che deve risorgere dai recenti disastri brasiliani e non solo, dalle batoste ormai quotidiane che le nostre squadre beccano appena varcate le Alpi, non abbiamo certo bisogno di un attempato signore che non riece ad andare oltre nelle proprie analisi all’accostamento negro-banane.
Poi tutto il baraccone successivo, comprese le ingerenze blatteriane, sono una farsa che fa da chiosa alla commedia tragica.