Ho letto, con non poca fatica, la requisitoria di Francesco Iacoviello in Cassazione per il caso Dell’Utri. Una supercazzola memorabile, di quelle che nemmeno Ugo Tognazzi dei tempi d’oro.
In estrema sintesi sostiene che accusare qualcuno di aver contribuito alle fortune della mafia, anche se questo è vero, lede il principio della difesa perchè non è un’accusa circostanziata con dei confini certi entro cui potersi difendere.
Essere amico di mafiosi e contribuire alla loro fortuna non è, secondo questo luminare del diritto, un reato in se. Ci vuole la prova che l’imputato abbia deliberatamente aiutato il mafioso X a commettere il reato YY e che l’imputato sia accusato di concorso in YY.
Se avesse fatto una supercazzola del genere per condannare un vassallo di Berlusconi o Berlusconi in persona sarebbero partiti i trombettieri di regime a dire che i magistrati debbono applicare le leggi, non inventarsele. E qui, al di la della vacatio legis sul concorso esterno, ci sono migliaia di righe di sentenze e di giurisprudenza giudicata che affermano l’esatto opposto di Iacoviello. Ovvero che contribuire alle fortune dei mafiosi, essendo consapevoli che sono mafiosi, anche senza l’esplicito supporto alla commissione di un qualunque reato, è in se un reato. Ed è uno dei pilastri della lotta alla mafia, è l’eliminazione e il contrasto a tutta quella zona grigia di persone che sono medici, professionisti, banchieri, artigiani che fanno il loro lavoro (nella requisitoria si parla del medico che cura i latitanti) ben sapendo a chi lo stanno facendo e a che condizioni e magari aspettandosi in cambio favori e protezione, anche senza nessuna eplicita manifestazione del do ut des.
Anche questa è mafia. Non per Iacoviello in effetti.
Comunque la chiosa non sarebbe incoraggiante per Dell’Utri: “L’annullamento con rinvio per vizio di motivazione non vuol dire che l’imputato è innocente. Vuol dire che la motivazione è viziata, non che la decisione sia sbagliata. E’ un annullamento fatto non a favore dell’imputato. ”
Dico non sarebbe perchè in due anni un altro processo non si celebrerà mai in tempo.